GIOVANNI CESCA I TORMENTI DEL PAESAGGIO
di Giorgio Baldo
2003
La mostra di Giovanni Cesca illustra gli ultimi dieci anni della sua ricerca pittorica.
Di lui i sandonatesi hanno il ricordo di una grande esposizione,
avvenuta in città ancora venti anni fa, e che testimoniava di una lunga
attività con tratti di sicura originalità nel panorama delle Venezie,
così ricca di rimandi e di dialogo con quella grande esperienza
artistica maturatasi a Venezia nell'arco dei primi vent'anni del
secondo dopoguerra, dal Fronte Nuovo delle Arti allo Spazialismo, nella
quale, seppur naturalmente in modo non esclusivo, Cesca ha trovato i
maestri e di cui ha respirato a pieni polmoni l'aria purissima.
Ma siamo sicuri che l'attuale mostra sorprenderà tutti quelli che hanno
seguito questo pittore in passato, e sono tanti e non solo nel Veneto,
poiché sono evidenti le differenze nel linguaggio della pittura che
egli attualmente usa rispetto a quella sua storia e tali da segnare uno
stacco evidente rispetto a quanto eravamo abituati a vedere nella sua
produzione; il saggio critico di Roberto Costella ci da conto della
complessità di questo cambiamento e, nell'evidenziarne i tratti, tesse
una mappa lunga e ricchissima che ne indica le relazioni sia con gli
altri periodi del pittore sia con esperienze che nel campo dell'arte si
sono succedute negli ultimi anni del secolo appena concluso.
Ma non su questo vorremmo soffermarci; quanto vorremmo sottolineare è
piuttosto un "respiro" che emana prepotente dalle sue nuove opere: è un
lungo soffio che si cala e interroga due paesaggi; quello del basso
Veneto tra Venezia e Treviso, che sembra trovare la sua essenza
costitutiva negli umori acquei che tutta pervadono e formano la natura;
e che Cesca investiga come usando un cannocchiale, puntato all'infinito
sugli scorci acquei del grande fiume (per lui è il Grande Piove
Theodori) e sulla rete di canali che come nastri luminosi attraversano
le terre di bonifica, specchiando terre brune, canneti e vegetazione
acquatica, filari d'alberi in marcia in lunghe file come misteriose
creature vegetali, campi quasi accecanti di colori di fiori, di grano.
Cosa cerca il pittore, cosa aspetta?
Sembra essere come appostati entro capanni da caccia in valle; solo che
invece dell'arrivo delle anatre nel primo mattino, nel gelido inverno,
l'occhio e il cuore aspettano l'emozione improvvisa, concentrata, di
uno scoprimento rarissimo e che tutto riveli del mondo, un colpo di
luce che improvviso colpendo il cielo, facci intravedere di là, per un
istante, un fenomeno purissimo, un istante rivelatore che sveli l'anima
pulsante della natura di queste terre, la visione estatica del dio
panico che le muove.
Un atteggiamento di perenne attesa del "rivelamento"; ne discende una
attenzione quasi spasmodica a "tutti" i particolari, perché in un punto
qualsiasi della trama della visione (nel riflesso delle ondine
sull'acqua, nelle foglie degli alberi) può improvvisamente presentarsi
l'indizio rivelatore che fa vedere li natura in modo "diverso",
ribaltare, rendere "vera" la visione. In questa ricerca il labile,
l'acqueo, l'atmosferico, assumonc na consistenza quasi "oggettiva", ma
sempre colma di un senso di attesa, di una presenza estranea che sta,
magicamente quasi, per venire.
Niente impressionismo quindi; ma anche nessuna Arcadia ritrovata, che
oltretutto nessun uomo o donna popola queste visioni; ma un
atteggiamento quasi da "naturalista", da osser- vatore appassionato, da
fotografo alla Blou-up che, fotografando in un parco due amanti, a uno
sguardo sempre più attento e analitico, scopre, dopo ingrandimenti e
ingrandimenti, sempre più eccitato che tra la vegetazione c'è un'ombra,
e che l'ombri ha una pistola in mano che sta sparando a uno dei
presuntamanti; la fotografia minuziosa di un momento d'amore si rivela
così la fotografia del suo opposto, di un omicidio.
E forse per questa volontà di ricerca, tesa alla resa del tutto pel
trovare delle minime crepe e buchi da dove fuoriesca l'essenze
dell'immenso, che la pittura di Cesca trova un nitore di contorni, una
precisione nei dettagli, una poesia che rifugge da ermetismi, tali da
riportarci per assonanze a "certezze" del vedere fissate in stagioni
ormai classiche come quelle del "vedutismo' settecentesco.
E questo "fissare con precisione" che si ritrova ancora nel secondo
paesaggio; quello della memoria dell'artista che ricorda la sua
giovinezza, le stanze del padre sarto, dominate dalle cose-bottone,
dall'incombere della macchina da cucire, presenza maestosa e insieme
leggermente inquietante nella penombra: sembra di respirare un che di
magico, di simbolico, nelle figure che i bottoni intrecciano; cose che
attendono, colte nel momento di stasi prima che la loro sorte si
realizzi, eppure già così solide, già così vitali.
Si capirà, da queste brevi note, da impressioni annotate come in un
diario di navigazione, una sorta di complicità che ci ha preso
guardando in anteprima le opere di questo pittore sandonatese che già
ha avuto riconoscimenti di sicuro rilievo in campo nazionale; siamo
certi che lo sguardo così lucido e stimolante che egli ha dato alla
natura che ci circonda in quest'angolo di Veneto, così ricco di poeti e
pittori, saprà offrire un tassello di sensibilità in più allo sguardo
con cui, quotidianamente, affrontiamo le nostre visioni. |