VOCI
di Giorgio Baldo
2005
Nell'esposizione del 2003 a San Donà
diPiave, Giovanni Cesca poneva al centro della sua nuova stagione
creativa il tema del paesaggio. Ne individuava una geografia.
A ridosso del mare, nel Veneto Orientale, sta una striscia esile,
profonda una decina di chilometri colma di marine, fiumi, paludi,
campagne colorate, che accompagna la costa adriatica dal Po all'Isonzo.
Terra nuova emersa alla luce nel primo novecento con la Bonifica;
paesaggio originale italiano del tutto artificiale, che veniva ad
affiancarsi in Veneto a due icone paesaggistiche che hanno riempito la
storia dell'arte; la campagna collinare civile e dolce, ricca di ville
e architetture, che fa da sfondo ai racconti visivi di tanti capolavori
dal '400 al '600, e poi Venezia città e laguna insieme, fonte e oggetto
perenne di deliri visionari, di sperimentazioni coloristiche.
Cesca con la sua ricerca, si metteva in risonanza con questi paesaggi
di altri secoli, dichiarava sommessamente di voler aggiungere allo
storico paesaggio Veneto in pittura un tassello nuovo, del tutto o
quasi inesplorato, allargando così il cono visuale degli oggetti della
pittura ad una periferia sorta improvvisa dalle acque.
Cesca, affrontava questa esplorazione conoscitiva individuando una
griglia analitica per l'analisi di questo territorio: "Paesaggi
d'acqua", "Paesaggi di terra", "Paesaggi d'aria" erano i titoli
eloquenti delle sezioni della esposizione già citata del 2003;
sintetizzavano le linee di un programma di lavoro, di una ricerca
complessa.
Ricerca nuova, importante: poiché il paesaggio della Bonifica veneta e
italiana, il suo carattere originale, cerca dagli anni '30 del secolo
scorso i suoi cantori, la sua epopea poetica e visiva; sinora poche
opere ne hanno indagato all'altezza che si conviene le suggestioni,
solo pochi e sparsi frammenti ne hanno cristallizzato le forme.
Cesca, che di queste terre sente profonda la suggestione, con
l'esposizione che viene presentata a San Stino nel 2005, in continuità
con quella precedente, cerca di coprire quel vuoto, articolare un
racconto complesso.
I cieli e le nuvole
(per vedere il paesaggio occorre partire dal cielo)
Il grande intervento ambientale ha
creato un luogo le cui caratteristiche originarie possono essere
individuate nell'ampia e profonda percezione spaziale indotta dalle
grandi estensioni agrarie prive di ostacoli sino all'orizzonte, e nella
visibile presenza di una serie di geometrie che governano e spaziano in
particelle regolari il paesaggio agrario.
Guardando da un qualsiasi punto della
campagna verso il mare, la percezione dello spazio della pianura
bonificata è simile a quello di una grande prateria americana; un
paesaggio agrario nuovo ed elementare, piatto e frusciante, rotto
appena all'orizzonte da macchie di bassi filari alberati, da case
agricole rare e sparse, da rari campanili frazionali immersi nei campi;
si crea fortissima la tensione dell'occhio verso la linea bassa e
sottile dell'orizzonte, dove inizia la volta di un cielo grande e
immenso che incombe incontrastato.
È la cupola celeste che
cattura l'attenzione visiva dell'agricoltore e del viaggiatore; è
questo l'oggetto primo della visione di questo paesaggio.
Il cielo è insieme uno spazio vuoto ed un enorme palcoscenico naturale:
è qui che avvengono le recite principali ed astoriche del naturale;
sono le scenografie e i racconti visivi che le albe, i tramonti, i
temporali, tracciano con i pennelli della luce e delle nuvole sulla
tela celeste.
Con una particolarità di queste rappresentazioni rispetto ad altri
cieli; altissima è l'umidità presente nell'atmosfera, frutto
dell'evaporazione che si alza come una bruma dal mare sulla costa,
dalle lagune della Brussa e del Mort e da una miriade di fiumi, canali,
fossi che intessono questa terra in reticoli inestricabili.
Su queste goccioline perennemente in sospensione la luce cerca di penetrare, di trarre riflessi, rifrazioni, colori.
Ma per tanto tempo ogni anno questa trama è fitta , avvolgente, umida.
L'aria è così spesso preda di foschie e nebbie; il cielo coperto da un
informe colore grigio, plumbeo o perlato. Si effonde in questi giorni
su tutte le cose un pulviscolo di goccioline, una luce uniforme di
mezzitoni, che ingentilisce il bordo delle cose, toglie le asperità, le
punte. È questo il colore e il tono prevalente dei mesi freddi,
dell'autunno.
Ma questo umore umido permane sempre in sottofondo, attutisce suoni e
riflessi, impasta i colori più vivi anche nella primavera e nei mesi
estivi.
Ma quando soffia la bora o forti brezze dal mare, o dopo una pioggia
intensa, gran parte di quell'umido in sospensione si disperde o
precipita a terra; un velo si strappa e allora si creano in alto varchi
sempre più giganteschi sino alla completa apparizione in cielo del
sereno, di intensi azzurri, alla corsa delle libere nuvole. alle
esplosioni cromatiche delle loro superfici.
In quei momenti puliti appaiono in tutto il loro splendore i momenti
estremi delle stagioni, come se esse fossero baciate da un soffio di
grazia. Le loro albe, i tramonti, gli addensamenti temporaleschi
inscenano feste di arrossamenti, biancori, gialli, rosa, ori,
arcobaleni, neri cupi, intonano sinfonie visive di enorme complessità,
sfoggi a scala celeste di virtuosismi coloristici.
È il "Pennacchio luminoso sulla pianura", "Il cielo nuvoloso sul Basso
Piave", le "Fasce luminose sul blu", l'"Alba rovente sulla laguna",il
"Tramonto sul Piave".
Momenti concentrati di emozione; quasi come se la natura volesse
scaricare in pochi attimi le fantasie su forme e luminosità per tanto
tempo covate ma compresse e umiliate dalla mezzaluce imperante.
Momenti da catturare, da fissare in una sorta di campionario di grandi
viste del cielo; e la raccolta che Cesca, esposizione dopo esposizione
ne fa, diviene un romanzo a puntate di quella epopea spaziale prima
accennata e invocata.
I fiumi e i canali
Ma naturalmente il paesaggio non si fissa solo in queste icone celesti;
Se si guarda da una vista aerea il territorio, nella campagna
bonificata del Veneto Orientale si noterà un reticolo estesissimo e
ordinato di corsi d'acqua di varia misura e dimensione, tutti diritti,
tutti (o quasi) artificiali: questa nitida geometria divide la campagna
in tanti poligoni "regolari", vuoti d'inverno e che poi vengono
colorati in relazione alle colture che si praticano e alle stagioni che
ne decidono lo sviluppo.
Questo sistema di canali e idrovore ruota intorno a dei grandi assi
acquei: sono i fiumi Sile, Piave, Livenza e il Canale scolmatore Brian,
tutti sistemati nei loro attuali alvei tra la fine del '500 e il '600
dalla Serenissima.
Le acque dei terreni bassi arrivano ai fiumi, che le portano al mare,
raccogliendole mediante un vero e proprio sistema sanguigno costruito
nella campagne; le corte scoline sversano nel più lungo capifosso, i
capifossi nel canale secondario, i canali secondari in quello
principale che a sua volta, aiutato dalla macchina dell'idrovora,
sversa tutto il liquido così raccolto nella campagna nel fiume o canale
scolmatore.
Decine di questi sistemi sono ordinatamente disseminati nel Veneto
orientale; questo reticolo acqueo salva il territorio dall'allagamento
e dal ritorno allo stato paludoso; nello stesso tempo lo nutre
dell'acqua dei fiumi nei momenti di siccità.
Oltre a un significato "pratico",
funzionale, questo sistema di fiumi e canali può assumere un
significato simbolico; è una entità panica, un dio pagano che abita e
controlla le acque, che salva la campagna dal disastro degli
allagamenti e degli impaludamenti e nello stesso tempo nutre la terra,
ha cura di noi.
Ma quella stessa divinità acquea, quando gli
elementi atmosferici si scatenano, dopo grandi piogge che riempiono
canali e fiumi sino all'orlo, può abbandonare la sua benevolenza;
mostrare il suo lato oscuro, un'ira incontenibile; allora la piena
spezza gli argini, invade la terra ordinata, provoca distruzioni in
quella civiltà dei campi che proprio quel dio normalmente garantisce.
È questo alone mitico e sacro dei fiumi, la sensazione della presenza
in essi di nascoste entità benefiche e malefiche che li governano,
credenza così propria delle antiche civiltà pagane, che Cesca avverte e
che cerca di far sentire nelle sue rappresentazioni del Piave, del
Livenza, del Brian, persino nei piccoli fossi che tagliano grandi
distese erbose.
Non vi sono uomini ne animali a turbare le visioni delle acque che
scorrono lente, racchiuse tra le verdi e alte navate degli argini.
La luce scende dalla cupola del cielo quasi metafisica, penetra con
lentezza l'aria, si diffonde sugli argini attutendo le asperità dei
cespugli e delle macchie vegetali che si specchiano senza un fremito di
vento nella grande quiete; una luce magica esalta l'imponenza e la
serenità di un corso acqueo quasi immobile, maestoso.
Solo le trasparenze lo animano, ora leggere, ora profonde; sembrano
originate da un'altra luce che sorge dal basso, sale dal fondo sino a
nuotare appena sotto la superficie, con movimenti lievi, con riflessi
quasi impercettibili.
In una quiete serena, in un silenzio vasto,
Non sorprende allora che in questa
atmosfera che evoca essenze e voci del passato, Cesca inventi nella
vegetazione a fianco dei corsi d'acqua, reperti antichi, lacerti
lapidacei con scritte corrose dal tempo, cavalli di legno ("dalla
lontana risacca nitriti venetici") che rinviano all'antico popolo dei
venetici che qui abitavano: e che adoravano il fiume, la laguna, la
natura.
Antiche credenze, incanti panici che
ancora sembrano lo stato d'animo più adeguato per contemplare l'andare
del fiume al mare, le sue voci.
Così tra cieli trasformati in
palcoscenici dove avvengono le recite dei cieli e acque trascese in
luoghi del sacro, Cesca ha individuato i nuclei forti del suo racconto.
Che nella sua apparente astoricità,
parla invece con voce alta e forte dell'oggi; poiché i luoghi che hanno
reso fertile queste sue fantasie visive esistono ancora e noi possiamo
ancora salvarli dal caos di zone industriali, capannoni, centri
commerciali, urbanizzazione selvaggia che li minaccia.
Dipende da noi trovare le vie per
salvare la poesia di questi luoghi, continuare a "vedere", anche solo
per pochi momenti incantarci. |