Giovanni CESCA

Giovanni Cesca

PAESAGGI: LA POESIA DEL NATURALE
di Giorgio Baldo
2006

 

La mostra propone il racconto di due autori intorno allo stesso argomento: il paesaggio delle terre di Bonifica del Veneto Orientale. Comune è l'amore di fondo che entrambi provano verso lo spettacolo del naturale.Zanetti è un naturalista e fotografo naturalista che da decenni esplica la sua attività in tutto il Veneto e non solo; Cesca è un pittore che da almeno quindici anni si interroga, una esposizione dopo l'altra, intorno alle terre, acque, luci di un paesaggio nato completamente nuovo nei primi decenni del '900 e che ancora oggi conserva in parte non piccola le sue caratteristiche originarie.
C'è un rapporto di complementarietà ma anche di sottili differenze tra i due linguaggi e tra le due visioni di una natura da entrambi amata.

Zanetti ha nei confronti del paesaggio lo stesso atteggiamento contemplativo e classificatorio che tiene nei confronti della ricerca e documentazione appassionata nel campo delle flora e della fauna; la natura è un libro che va letto con passione, presenta una serie di enigmi disseminati in ogni pagina: una lettura di sorprese vivissime, di ricchezze celate che la pazienza e talvolta la fortuna riescono a mettere in luce.
Dove l'occhio distratto vede alberi vagamente difformi, fiori di campo e di valle genericamente definite, il naturalista vede le specie e le varietà; ne sfoglia il nome proprio, la storia, il contesto che ha dato loro vita.
Guarda con l'occhio dello scienziato: classifica, deduce, interpreta specie vegetali e animali, disegna il reticolo di connessioni che li legano, la storia della loro nascita, il contesto della loro vita, le condizioni della loro futura sopravvivenza. Documenta il tutto.
Ma insieme alla scienza, o forse tramite essa, in questa attività usa la vista del poeta che contempla la ricchezza della vita che gli si dipana tra le mani, che parla della sua irriducibilità a schemi precostituiti, la sua enorme e sempre inaspettata varietà.
Tanti sono gli atlanti che Zanetti ha costruito su flora e fauna del Veneto con osservazioni minute, con lunghi appostamenti, con inseguimenti di tracce labili; ha imparato la difficile arte del vedere in profondità il reale, di osservarlo con pazienza, curiosità.
Ha imparato soprattutto a interrogarlo e a sorprendersi delle sue manifestazioni. E, quasi per non dimenticarsene, ha imparato a fotografare quelle più straordinarie.
E talvolta, seguendo questa perenne ricerca di eventi del naturale e della loro documentazione, esce dalle rilevazioni e foto di flora e fauna; alza lo sguardo dalla terra e dall'acqua e guarda al paesaggio.
Già nel 2001 in una mostra a San Donà aveva composto nella mostra "L'acqua, le terre, le luci" un atlante di visioni delle terre di Bonifica, in cui catturava scorci assolutamente inusuali del paesaggio agrario, come fossero fiori segreti, misteriosi animali.
La mostra di oggi, idealmente il seguito di quel primo racconto, sceglie dentro il paesaggio veneto di bonifica un solo argomento e lo approfondisce.
Lo sguardo di Zanetti si leva molto alto dal livello del suolo: guarda lo spazio ampio, l'orizzonte lontano, i cieli e i loro spettacoli.
Per anni e anni ha percorso il territorio di bonifica in albe e tramonti e in tutte le stagioni e ha impresso nella mente gli spettacoli che in rari momenti il cielo e le nuvole riescono a produrre.
Ha scoperto nel territorio di bonifica i luoghi in cui quella visione è più piena: sono quelli che ancora predominavano completamente nel paesaggio del Veneto Orientale della metà del novecento.
Spazi lunghi a perdita d'occhio, dominati dalla cupola del cielo, rotti appena all'orizzonte lontano da rare case coloniche, da filari pioppeti e olmi.
E in questa terra piatta, una prateria americana, si dipanavano i fili luccicanti d'acqua dei canali di bonifica, dei grandi fiumi, degli specchi lagunari che riflettevano gli spettacoli del cielo.
Oggi il paesaggio del Veneto Orientale è cambiato per effetto dello sviluppo industriale, dell'urbanizzazione diffusa; si è ridotto lo spazio del paesaggio agrario e in tante parti esso è "sporcato" da capannoni industriali, insediamenti diffusi di brutta architettura, da una pluralità di segni che ostacolano la vista di spazi lunghi e cieli di cui prima abbiamo parlato.
Ma permangono isole ancora vaste in cui il tempo sembra essersi fermato.
Zanetti sa dove sono queste isole del tesoro; sono queste il luogo in cui si reca per guardare e classificare il tipico dello spazio e del cielo del paesaggio di Bonifica ancora esistente.

Il cuore pulsante del suo lavoro creativo ci sembra dunque da un lato la ricerca articolata del luogo e del momento in cui sia possibile sorprendere la natura nel suo fare spettacolo a scala cosmica, frutto di una grande sensibilità e di una empatia con il naturale; dall'altro la sapienza compositiva con cui l'evento a scala cosmica viene incorniciato e fissato.
L'insieme di queste componenti fissa l'immagine straordinaria; la sensibilità artistica cattura una immagine che si darà già in se stessa conclusa nel naturale.

Diverso il lavoro di Cesca; il suo percorso inizia dalla fotografia, esattamente dove Zanetti è arrivato.
Naturalmente a Cesca non interessa tanto la fotografia in sè e non mette nella ricerca dell'immagine catturata la stessa volontà programmatica di Zanetti; egli parte da lì per cominciare a costruire un'altra realtà, di tipo psicologico-percettivo rispetto a quella catturata.

Da quindici anni almeno è ininterrottamente appassionato da questa ricerca; egli sente letteralmente nel paesaggio naturale l'aria del mito, delle presenze paniche e pagane che si prolungano con infiniti filamenti dal passato. Nella terra nera, nell'acqua dei fiumi, nel cielo degli eventi.
Trasformare questa sua percezione spirituale di voci e presenze paniche in visioni evocative: questo ci sembra il suo intento lirico, di esposizione in esposizione più chiaro.

Se in Zanetti viene fissata l'immagine della natura sotto forma di potenza originaria, di laboratorio dello straordinario e del sublime nella visione, in Cesca viene rappresentata la natura in meditazione. Non meno potente, ma diversamente potente.

Cesca crea programmaticamente uno spazio percettivo dilatato dal silenzio, dalla mancanza di esseri umani, da una sospensione magica del movimento dell'aria, da una luce pervasiva che penetra in ogni dove: è lo spazio dell'attesa e della concentrazione.
È uno spazio che attende in sospensione l'avvento di una presenza, lo svelamento di un mistero;

"Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata divinità.
(Montale, Ossi di Seppia, I limoni).

Occorre la finezza dei sensi per percepire i più piccoli battiti del soprannaturale di cui ci parlano i grandi miti; e, coerentemente, questa finezza di percezioni pervade la pittura di paesaggio di Cesca in questa mostra
È tutto uno sfoggio di trasparenze, di tocchi delicatissimi, di luci diffuse e profonde; armonie, silenzi, toni spettacolari di cieli e orizzonti ma sfumati l'uno nell'altro con fusioni e profondità d'altre epoche.
La tecnica del pastello, usato con modalità inusitate, sembra essere la risorsa che più rende possibile la rappresentazione di questa attenzione allo spazio vasto che attende un avvento, che risuona di antiche voci.

Spazio della potenza creatrice e spazio della meditazione; nel paesaggio della campagna bonificata del Veneto Orientale che ancora resiste ma sempre più confinato in riserve indiane, c'è una miniera d'oro per la sensibilità di ogni cittadino.

L'augurio è che le visioni dei due artisti presentati inducano il desiderio di visitare quelle gioie, intrecciare con esse sogni, poesie e di conservarle per quelli che verranno.

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