Giovanni CESCA

Giovanni Cesca


Giovanni Cesca. Forme del tempo e congetture dell'invisibile

di Giorgio Baldo (2020)



La mostra “Viaggio in Oriente” nella sezione che presenta le opere di Giovanni Cesca, illustra, per la prima volta in forma sistematica, gli esiti di una ricerca iniziata all’incirca cinque anni fa.
Essa segna uno stacco deciso rispetto a una vastissima ricognizione sul “reale” durata per oltre due decenni, che si era indirizzata ad originali riletture del paesaggio soprattutto veneto e a certe sue personali rielaborazioni di un metafisico laboratorio sartoriale (il padre ne era il dio) in cui si aggirano, tra fruscii, ombre e raccolte concentrazioni di colore, macchine da cucito, tendaggi, bottoni parlanti colti in un appartato teatro senza uomini, intenti tra loro ad un dialogo intimo e sommesso, quasi memori di certi paesaggi d’interni indagati dal Savinio più visionario.

Eppure le ultime opere, concentrate a delineare un mondo fantastico, parallelo a quello delle “Città Invisibili “di Calvino, come poi si dirà, che sembrano così nuove e diverse rispetto alla sua precedente produzione realistica, stabiliscono come un ponte ideale tra l’oggi e il periodo del suo esordio sulla scena artistica, compreso tra il 1969 e la fine degli anni ’70 del secolo scorso, in cui nella sua ricerca artistica pulsava lo stesso spirito e lo stesso fuoco di conoscenza per i territori profondi dell’io. Le ricerche di entrambi i periodi, quello della sua gioventù (che abbiamo recuperato) e quello della sua tarda maturità, sono infatti riconducibili all’investigazione dell’invisibile e del fantastico che si cela nei vastissimi spazi del nostro inconscio e nel pulsare profondo e arcano di un quid (il sacro), che guizza in un fantastico nutrito da immagini e miti provenienti dalle grandi civiltà del passato.
È una pittura sospesa tra due tempi e due territori: il tempo del mitologico e del religioso dell’”antico” da una parte, che vive nel suo gioco di specchi tra "libri" sapienziali e rappresentazioni che in essi trovano alimento per inventare metamorfosi, rapporti aurei, architetture ideali, grottesche, emblemi, pitture del fantastico: e questo è attingere al tempo e allo spazio della storia.
Similmente attinge al tempo del “moderno”, ugualmente fitto di enigmi, che di quei territori dell’invisibile esplora in modo nuovo paesaggi e presenze; ed è lo spazio-tempo degli eventi inventato nel primo novecento dai surrealisti.
In quest’ultimo mondo, sulle orme dei suoi maestri, si inoltra con giovanile entusiasmo e passione Giovanni Cesca Non vi è dubbio che, per chi voglia alla fine degli anni ’60, all'epoca della rivoluzione dell'Arte povera, della pop Art, della Land Art e del minimalismo, provarsi su questo terreno su cui per tanto tempo fino agli anni ’50 si è misurato il surrealismo, sia arduo il percorso, scarsissima la compagnia.
Quasi un autorelegarsi ad opere di completamento e di rifinitura di viaggi e mondi esplorati da giganti (sacerdote Eluard e quella vastissima trama dove, in spazi irreali e inconsueti, si dipanano le grandi vie e le isolate costruzioni di un De Chirico, un Mirò, un Dalì, un Max Ernst e via rifulgendo). Pur esiste, in quel crogiolo rivoluzionario dei sistemi di pensiero dei primi anni 60 rivolti al nuovo e che quelle tendenze e movimenti sembrano superare per andare altrove, un indubbio motore, un vulcano tellurico attivo, che ancora riporta a inconsci da decifrare, a linguistiche da rinnovare, a miti e archetipi , a civiltà sapienziali e ad approcci antropologici di meravigliosa novità: è il Lacan e della sua “rilettura” della psicanalisi (e del linguaggio) che diventa un suo mentore per tutti gli anni ‘70; ma potremmo aggiungere tutto quanto ruota intorno alla cultura "francese", dall’antropologia culturale di Levi Strauss, alla ricerca sul segno e significazione di un Barth, alla sociologia di Focault, allo stesso strutturalismo e così via.
È la grande stagione del dibattito sul linguaggio, sull'inconscio che parla attraverso di esso, il delinearsi di inusitati territori di senso e significato che si aprono alla fertilità dell'interpretazione, della destrutturazione e di un nuovo mondo simbolico da esplorare.
Cesca che segue la discussione sulla psicanalisi alla luce della "provocazione" di Lacan, sceglierà del ‘68 questo versante pulsionale.
Il centro teorico e spirituale della sua ricerca giovane si misura in questo “qui”, nel “dietro al paesaggio”: ma alla luce del “corpus” che il surrealismo ha già prodotto come universo segnico, figurale e immaginativo.
Se c’è una tradizione che accompagna in bene o in male l’esordio di ogni artista nell’esplorazione del suo mondo, il surrealismo è la sua “tradizione” di elezione. Il suo primo viaggio in questi territori di cui tra il 69 e il ’77 produce quasi un resoconto in tempo reale, degli spazi e delle presenze arcane che già quei maestri, prima di lui, hanno eletto a loro Oriente.
Da ognuno attinge; pur non essendo a nessun maestro riducibile, di nessuno discepolo; anche se, a sentire le sue dichiarazioni, più lo ha impressionato allora il Sutherland, sul quale ha svolto la sua tesi di laurea all’Accademia di Venezia e, più ancora, il Tanguy cui forse deve eterna riconoscenza per certe sprezzature coloristiche e compositive a cui permanentemente attinge.
Ma una sua cifra personale ci sembra imporsi da subito (colta inizialmente da pochi ma di grande spessore critico, come un Ragghianti): ma i tempi dell’arte degli anni ’70 non sono quelli a cui la sua arte interessi, come prima si diceva. E quindi nessun effetto sasso sullo stagno, nessuna compagnia di strada o sistema-movimento che amplifichi un messaggio o un esito. E così la sua diviene quasi la coltivazione di un vizio solitario, un mormorio appartato, laterale. Un auto-esilio dalle scene importanti. Talché alcune delle opere ora in mostra escono dal mondo dell’ombra dal suo studio per la prima volta.
Ma quale contesto spaziale e sentimentale di sua propria impronta immagina, nel quale farà recitare a collage, a pietre miliari, a tracce sapienziali , le citazioni visive di quegli esploratori che l’hanno preceduto? Il mondo degli enigmi e delle metamorfosi. Vale ancora, prima di affrontare il testo delle sue opere, dire di una sua particolare credenza che nel corso degli anni si è sempre più rafforzata e diviene componente ineludibile del suo immaginario: nella volontà di comprendere e risolvere certi moti del proprio io, di isolare le origini di certe segrete rigidità o debolezze o comportamenti che gli dispiacciono o, per converso, di trovare correnti di forza che lo aiutino nelle prove dell’esistenza, è attratto da un sapere ermetico in cui trovare supporto.
Non solo nella sua arte: ma nella sua vita.
Crede negli alberi genealogici, in una loro forza intrinseca: quasi che ogni nuovo ramo o frutto che sboccia nel presente, porti nel suo essere una traccia spirituale e materiale viva e riconoscibile del tronco e rami che sono stati prima di lui e nei quali si è innestato, andando su su (o giù giù) sino alle radici risalendo all’Origine della catena, se ne potrà vedere il volto nascosto.
Questo risalire lungo il corso delle generazioni precedenti per conoscere sè stessi, questo legame con il passato che dipinge metaforicamente come il sorgere di un individuo uscente dall’utero della terra agli albori del mondo, sarà il moto e la linfa dal quale saranno mossi a vita quale poi svilupperà arti, corpo e coscienza delle sue pitture.
Ii destino individuale è intrecciato in una lunga successione di eventi che scorrono l’uno dall’altro, da questa successione dipende il destino futuro: colpe, difetti e qualità dei padri ricadono sui figli.
Come e successo per Edipo a Colono.
I cataclismi dell’essere dipendono talvolta dalle offese inferte in passato (anche inconsapevolmente) a un dio vendicativo o alla rottura involontaria di tabù insuperabili, (come l’incesto) che imbrigliano nei loro confini la nostra insania istintuale.
Così la scienza degli oracoli, dei Tiresia, Pizie, Sibille che quegli enigmi divini sciolgono osservando tracce per noi enigmatiche del passato, portando alla luce la remota rottura di una legge divina o umana, possono indicare il giusto rito espiatorio alla fine del quale ci sarà una riconciliazione con l’ordine infranto.
O forse no; talvolta alcune colpe sono insanabili.
Ma almeno la fine tragica del proprio io, prima della cessazione di sé, sarà illuminata dalla sapienza sul perché, sulla causa celata che l’ha provocata.
Nel suo inconscio c’è tutto questo, c’è quell’albero. Questo passato, questi segni, quelle tracce. L’inconscio, l’albero della specie, contiene una delle chiavi del destino. Ma non solo lì esso si disegna.

Ci sono anche le presenze esterne, che operano fuori dal soggetto.
Presenze antiche, antiche immanenze.
Anch’esse possono essere “divinate”
L’enigma del mondo è un fatto fondativo: avvolge sia la genesi del mondo, sia la nascita di ogni soggetto che lo abita.
Il destino che ogni nascita accompagna è determinato, come ogni albero sa, dalla configurazione astrale in cui è avvenuto il suo concepimento; una notte di plenilunio, l’orbita di una cometa, l’ordine delle stelle dello zodiaco, il soffio del vento primaverile e così via.
Ogni cosa del mondo che nasce e si sviluppa è in relazioni col tutto mutevole dell’universo: il momento magico di ogni vita, dalla nascita alla morte, in ogni nodo della sua crescita, da questo immenso respiro è determinato.
Questo “Vento di venti” odano stormire le foglie del ramo del presente.
E di questi flusso astrali narrano le Sapienza antiche: gli oracoli sanno leggerli nelle Stelle dell’ora, nelle ossa degli uccelli, nel lancio dei dadi, nelle carte degli arcani. (che Cesca rappresenterà in un ciclo degli anni “80).
Gli Astrologi e la loro scienza li leggono nelle configurazioni stellari dello Zodiaco. In questi humus ermetico affonda le radici il surrealismo di Giovanni Cesca >Il mondo è enigma. Enigmi dunque: disseminati sul mondo, nella propria comunità e nel proprio io.
L’artista è insieme ricettacolo del loro soffio e oracolo per la lettura delle loro tracce. Con umiltà, decifrando il borbottio della Pizia e della Sibilla, sentendo gli oracoli divinatori, saprà prima rappresentare quel mormorio e discernere tra il profluvio di false e vere apparenze, la velata verità del proprio destino. Si precisa via via la meccanica e il fine che presiede in questa fase il suo fare pittura:
registrazione “automatica” di ciò che è venuto autonomamente dal sogno; su ciò che esce, sulla bozza stesa tra sonno e veglia, vicino alla sorgente dell’illuminazione inconscia, fare poi “lavoro” d’artista: infittire la visione originaria con scritture geroglifiche, dei egizi, sfingi, uomini uccelli, ibridi, fantasmi mononucleari che esaltano un senso (un orecchio, un occhio, una lingua…) Poi trovare un punto di osservazione aereo per osservare dall’alto dei cieli questo mondo,Ed ora ecco in scena: il grande teatro del mutevole di Giovanni Cesca Gli spazi incorruttibili e il tempo lungo. La spazialità di questo mondo riflette certi assoluti: nel mondo iperuranio esistono astratte purezze.
Il cielo è azzurro, la terra è piatta e liscia.
Nessuna complicazione come nuvole e montagne; un palcoscenico vuoto a cui si è dato il fondale di base, eterno.
Un cielo in alto, una superficie in basso, un orizzonte; per parafrasare il poeta "infiniti spazi e infiniti silenzi".
In questo palcoscenico si snodano gli avvenimenti del tempo, i suoi laboratori di forme e presenze, la creazione del visibile.
Appaiono: le figure geometriche (un cubo, un parallelepipedo, una sfera), gli apparati che misurano spazio e tempo (pendolo, formula, ruga e compasso), figure ectoplasmatiche che estremizzano uno dei sensi (l'occhio monoclonale, l'orecchio gigante) che pulsano di vita propria, le figure ibride di uomo-uccello simbolicamente raffiguranti un movimento insieme aereo e terrestre…
Le luci che illuminano questo mondo sono un complesso apparato illuminotecnico, di ispirazione teatrale (o filmica) che scandisce di effetti questo laboratorio del vivente, e da movimento al processo di sperimentazione di nuove forme, del loro incrociarsi, del loro combinarsi in cerca di un equilibrio, della loro miglior fusione ; e danno conto del loro esito.
Cercano una identità.
E il tutto avvolto da un’atmosfera di tempi primordiali, di età dell’oro, nel divino della Genesi: colore sempre pulito, brillante (da smalti medioevali di Gerusalemme Celesti; in cui, più che il mondo giocato fra luci e ombre trionfa la chiarezza paradisiaca dei contorni , e la Rivelazione scaccia e dissolve con la sua luce ogni ombra (dubbio, malignità, incertezza).
Mondo senza ombre.
O velature su velature si susseguono sul corpo del quadro per dare profondità e accumulo di storia alla superficie dell’apparente; ma sempre per arrivare ad una chiarezza percettiva che nulla lascia agli sbuffi di colore, al puro gesto.
Poiché esso nell’immagine è trasceso, distillato in perfezione, in ascesi.
Questa prima fase del suo lavoro di ricerca dura all'incirca sette anni: in essa (e la prima parte della mostra ne dà conto) un repertorio di forme, luci e spazi viene fissato: prima nell'iniziale stazione del laboratorio in bianco e nero, in cui la ricerca delle forme e delle presenze del mondo dell'onirico e del metamorfico ha trovato  figure e volumi fondamentali; per poi passare al loro dispiegarsi in uno spazio- tempo colorato, dove quelle forme sperimentali e quelle presenze sempre ibridate si mettono in scena vestite di ogni decoro.
Nel vivo del testo delle opere possiamo seguire le diverse modalità in cui la creazione in primo piano si articola mai fissandosi in una identità definita; domina l'ibridazione metamorfica del corpo umano, sempre riconducibile ad un significato emblematico
Figure mitologiche, uomo uccello, Sfinge..
Quasi che la parte non umana innestata sotto forma di animale o vegetate o roccia, indichi trasfigurata una potenzialità o un desiderio o una tendenza spirituale del soggetto stesso: un direzione di marcia del suo destino. Ma accanto a questi racconti di metamorfosi e di ibridazioni, un altro tema appare: non più incentrato sul corpo e lo spazio dell'uomo, ma sulla creazione massima di quest’ultimo: la città. La città e il tempo. La sfinge egizia presiede l'entrata nella prima Città di Cesca: è colta nel momento della rabbia alla nostra risposta al suo indovinello, prima di suicidarsi gettandosi dalla rupe. Noi proseguiamo e vediamo la nostra Tebe celeste staccarsi su di un fondale di nuvole, circondata da un deserto di sabbia dorata e di spazio celeste.
Appare un coacervo: le sue architetture sono un collage di memorie di architetture del sacro delle vecchie civiltà: la colonna, l’obelisco, il tempio, e il quasi primitivo addensarsi di edifici senza ornamenti.
La visione è un anticipo: verrà ripresa molti anni dopo.
Conclude in un certo senso la sua prima fase di apprendistato artistico: che poi lo condurrà, come all’inizio si diceva, al lungo periodo realistico Le Città ParalleleIl Salto. Liberandosi quasi dal vincolo del reale e delle sue rappresentazioni cui per tanto tempo tra gli anni 80 e i primi del 2000 si è dedicato, ritorna alla fonte della sua ispirazione spirituale del periodo giovanile.L’accensione di questa fase che comincia intorno al 2016, deriva da una riflessione su due capolavori di Calvino: le "Lezioni americane" (ma sullo sfondo) e "Le Città Invisibili".
Il retroterra al centro di quest’ultimo romanzo è noto: si riferisce al viaggio di Marco Polo in Oriente che nel “ Milione", racconta dal vero le meraviglie che ha visto lungo la Via della seta e nell’impero del Gran Khan.
Su questo precedente Calvino edifica il suo congegno narrativo, inventando il resoconto che il viaggiatore veneziano fa al Gran Kahn che l’ha mandato a osservare e riferire delle città del suo immenso impero.
E il veneziano gli racconta di Città invisibili: il loro fascino sta nelle verità che esse celano, scritte nelle qualità delle loro architetture, nelle relazioni che esse intrattengono con gli abitanti che le forgiano: Città sottili, Città dello sguardo, Città degli scambi, Città della memoria ….
Qualità dello stare assieme dell’uomo, delle sue forme di convivenza.
È questo racconto di “Invisibili” che appaiono alla luce delle parole di Calvino attraverso la descrizione dei loro spazi, delle loro forme, del loro ordito intessuto con i fili del fantastico, tra fuochi d’artificio narrativi, accendono in Cesca un fuoco immaginativo che da allora non si è mai spento. L'operazione in quattro anni si precisa e di continuo si alimenta: già allenato nel periodo giovanile a trovare nei "Libri sapienziali" delle grandi civiltà e religioni del passato, e nell’esplorazione moderna dell'inconscio e dell'onirico le miniere del suo dire in pittura ordisce anch’egli, prima ancora di un mondo, una analogo congegno narrativo per crearlo..
Una sorta di viaggio di soglia in soglia lungo una Via della rappresentazione.
Primo mondo (solo logicamente non storicamente): il mondo del reale, che lui ha rappresentato. Al suo confine si apre una porta. Si apre. Si entra.
Secondo mondo: ci muoviamo in un mondo verbale che parla dell’invisibile, che lo evoca, che ne traccia con le parole una catena di immagini, che si condensano in un insieme: le Città Invisibili.(Calvino). Alla fine di questo mondo ( di voci) si apre una porta. Varchi la soglia
Terzo mondo: entri in un mondo fantastico, in un universo parallelo a quello Calviniano: non voci, come in quello, ma immagini.
Il mondo di Cesca.
Il mondo delle Città Parallele.
Ognuna delle quali è collegata punto a punto con una delle Città Invisibili di Calvino: con una serie di legami, di relazioni, di scambi.
Tra universi paralleli. Quale spazio per le Città Parallele È lo spazio di un mondo che nella sua genesi e nel suo farsi è in corrispondenza con i due mondi precedenti, che da entrambi prende combustibile e materiali: che colloca nel suo visibile combinandoli in uno spazio dinamico, in cerca di una sua identità.
Uno spazio metamorfico: in cui le ibridazioni dei corpi della natura, che Cesca ha sperimentato nella fase della sua giovanile pittura, vengono sostituite da ibridazioni di paesaggi provenienti da mondi diversi.
Che tentano in questo universo parallelo un congiungimento. Paesaggi di memoria, paesaggi dal vero, paesaggi dell’onirico, paesaggi archeologici, paesaggi cosmologici, paesaggi simbolici , paesaggi mitologici Ecco il suo congegno narrativo in pittura:
L'insieme-universo di questi tre mondi è un tutto che si tiene, che parla di relazioni, di corrispondenze, in un continuo gioco di rinvii, riflessioni, specchi. Per arrivare a delineare con precisione i lineamenti di uno spazio che tenga assieme questa trilogia, inventando corrispondenze e relazioni tra questi tre blocchi immaginativi (e spirituali), segue lo schema di lavoro già sperimentato ai suoi esordi.
Prima il laboratorio di disegno in bianco e nero (in cui l'abilità e le tecniche utilizzate sono già di per sé spettacolo pirotecnico).
Il disegno è il sommo mezzo per dar forma.
Llbero da vincoli oggettivi di rappresentazione che non siano quelli dettati dal suo proprio bisogno interiore, costruisce un mondo di paesaggi di Città ideali.
Pone come mallevadore e protettore di ogni città magica cosi sorta uno Sciamano celeste.

Per osservare questo universo parallelo (e farlo osservare) trova punti di vista siderali, quasi che gli osservatori del suo mondo siano supposti come esseri abitanti in un empireo galattico o argonauti (astronauti) del  mare degli spazi profondi.
Poiché le sue città sono collocate lungo una “Via dei cieli e degli spazi profondi delle costellazioni”, che attraversano un universo parallelo a quello in cui viviamo.
Ma non illogico Ognuno potrà trovare nelle nove Città Parallele in sfumature di grigio che si presentano come stazioni di sosta in questa lunga via, la rete di richiami e di corrispondenze di cui abbiamo parlato; ripercorrere nelle loro architetture, se vuole, la lunga fila di emblemi che riconducono a civiltà antiche, ai mondi dell'onirico e dell'inconscio, a Vie della seta spirituali e filosofiche, e così via. Poiché questi paesaggi vogliono essere enigmi: che contengono, ma dissimulati da apparenze, verità sul mondo, sul senso della vita.
Verità che sono talvolta celate allo stesso artista, che nel momento della creazione non segue ragione ma simpatie di forme e di spazi, di voci e ritmi musicali che provengono da un incognito invisibile.
(E la domanda sui significati di quello che esce da questi momenti ispirati, scaturisce solo alla fine, vedendo cosa nel flusso è emerso, cosa si è precisato. E mai essendo sicuri che ciò che si è fermato sulla tela, celi veramente una verità, un segreto ultramondano: o non sia solo gioco di forme, divertimento artigianale di un fare)
Per quanto ci riguarda ci sembra che ci sia, sullo sfondo di questo tutto, una delle lezioni americane di Calvino che forse è chiave di decifrazione formale di quest'ultimo lavoro di Cesca.
Non è quella dedicata alla Leggerezza o al Peso così esplorate e citate:
E la lezione dedicata all'Esattezza.
Come sempre l'opposizione tra due “essenze”, che in ognuna delle sue lezioni funziona dialetticamente ad illuminare la qualità principale, è centrale: l'Esattezza è in dialettica con la Vaghezza.
Ma quale vaghezza? Ed ecco Calvino citare Leopardi, che con parole mirabili, descrivendone i “modi di dire” ( un certo paesaggio all’alba solcato dalla nebbia, un certo tramonto luminoso sul mare….) ne fornisce un elenco, quasi un repertorio che, nell’insieme, rende quasi la vaghezza dell’insieme “un corpo del vago”, un determinato.
Che racchiude un universo delle stupefazioni esclamative che l’uomo prova nei confronti della natura cangiante.
Ma Calvino ci riporta all’esattezza.
Alla vaghezza del sentimento emotivo provocato dalla visione di un paesaggio di natura, si oppone l'esattezza del segno, la mineralità che lo struttura, che ne è base e confine.
L’Esattezza è la mineralità del diamante, la sua conformazione mineralogica di cristallo, misurabile e incorruttibile, le sue esattissime sfaccettature, la sua evidenza rocciosa, inscalfibile, precisa.
Il puro del suo biancore.
Su questo prisma puro ed esatto, si scaglia la luce di ogni stagione del mondo che lui riflette e rifrange con la pura luce che possiedono le sue esatte superfici e il suo nucleo irradiante, creando nella visione di chi lo osserva una vaghezza percettiva che complica, in un incessante anello brillante, qualsiasi fissa percezione della esatta verità che lo possiede.
l fisso immutabile dell’eterno del suo essere riflette e rifrange la vaghezza dell'effimero che lo colpisce.
Inscalfibile il diamante cela il suo interno palpitante di luce; preciso rifrange e riflette qualsiasi raggio che con cui l flusso dell’impermanente lo colpisce.
Certa la sua certezza, imprendibile la sua fissa verità : la sua Vera visione.
Dal diamante nascono configurazioni stellari, che illudono di essere colte una volta per tutte… Ma che mai arrivano a scoprire l'essenza dell'unico che nella sua struttura si cela e pulsa.
Non è possibile arrivare al nucleo del diamante, alla sua luce interiore, nemmeno rompendolo: si scinderà in altri diamanti, sempre più piccoli, sempre più minuti sino a che essi saranno così piccoli da non essere più visti da occhio umano: ma brilleranno ancora nell’invisibile.
Sempre il diamante conserverà la sua magia, il suo enigma. E così ci sembra che Cesca veda le sue Città Parallele.
Città Diamante, specchio di più universi, fusione di paesaggi in una soglia sospesa nello spazio – tempo siderale, protesa con le sue radici invisibili a trovare le sua terra di concepimento per trarne linfa contemporaneamente dal visibile del reale e dall’invisibile della fantasia.
Mondo sospeso di relazioni, di corrispondenze: con al centro una luce pulsante, da cui tutto si irradia.
E ciò che si cela nel centro della pura luce forse è il Dio: o forse nient’altro che la luce di ogni singolo individuo, che è luce singolare e magica del mondo: e le costellazioni di Città Parallele che appaiono come stelle nel notturno del cielo, la loro ininterrotta danzaNota a margine
Nel tempo del “Game”, nell’epoca delle reti, dei virtual data, dell’intelligenza artificiale e degli ipertesti multidimensionali, ci piace pensare che ogni visitatore si impegni in un suo gioco personale saggiando le corrispondenze tra “Città Invisibili” e le “Città Parallele”.
Le prime cercano figure capaci di renderne il fascino verbale: le seconde cercano le parole capaci di renderne il fascino visivo.
L’artista figurativo Cesca, quasi sdoppiandosi in artista bifronte, oltre ad averle create ne ha scritto (noi abbiamo visto quei racconti che, se vorrà, saremo lieti di pubblicare)
Ma quella è la sua interpretazione. Una delle tante possibili.
Poiché l’immagine, una volta uscito alla luce del mondo sta lì, nel quadro distinta e autonoma dal suo creatore.
Altre interpretazioni sono possibili accanto alla sua, altri racconti alla loro visione possono forse trovare materia per un proprio ardere. Questi racconti attendiamo da chi verrà a vedere le figure di questo viaggio.
Li registreremo: nel sito web del Museo del Paesaggio e chissà, forse in una futura pubblicazione, saremo lieti di meravigliarci del loro ordito.