Per ogni dimensione possibile - Appunti sull'opera di Giovanni Cesca
Non luogo, ma percezione di luogo; nessun tempo, ma ipotesi di tempo. Le città invisibili concepite da Italo Calvino e quelle parallele immaginate da Giovanni Cesca stabiliscono una dimensione ‘altra’ e mettono in luce alcuni temi stimolanti il pensiero o la sua eccezione. I paesaggi senza territorio, fantasticati prima dallo scrittore e ora dall’artista, esplorano i labirinti della mente per la definizione di uno spazio prospettico che rimanda a discipline rinascimentali; uno spazio dentro al quale la prospettiva non resta soltanto una teoria matematica applicata alla Sezione Aurea, ma diventa un mezzo per creare immagini illusorie. La visione di un paesaggio ‘sospeso’ che Cesca propone quale alternativa al reale, riflette quella tolemaica della terra immota al centro di un cosmo concentrico. Questa visione è infatti ordinata alle regole armoniche, ma nello stesso tempo si presenta libera dai rapporti geometrici e matematici della composizione. Le due componenti relative al linguaggio pittorico utilizzate dall’artista per questi suoi lavori restano decisamente quelle del surrealismo e della metafisica. In riferimento alla prospettiva classica vale l’esempio dell’invenzione dechirichiana con alcune necessarie mistificazioni suggerite dall’immagine quale archetipo umanista utile a rovesciarne il significato. Sdoppiando i punti di fuga e alternando sottilmente le proiezioni lineari Giovanni Cesca costruisce un personale spazio metafisico che mantiene in apparenza la fissità, la trascendenza e la regolarità dello spazio classico, ma che, invece di confermare certezze, evidenzia enigmatiche incertezze. In questo suo procedere, l’artista realizza nel 2018 un ciclo di opere affascinanti: Le città parallele, una serie di sofisticate invenzioni visive conseguenti il trapasso di una visione del mondo ormai priva di centro e che fugge ogni principio di relatività. Alasia; Johthene; Elle-Via; Allissa; Lentia-Per; restano alcuni titoli dell’enigma per la destituita certezza che la fruizione e l’interpretazione di questi lavori si applica da un numero finito di possibilità a un numero tendenzialmente infinito di ipotesi. Queste destituite certezze, sempre più evidenti nel mondo reale, si proiettano qui nel miraggio di un altrove e vengono camuffate in visioni celesti attraverso i virtuosistici effetti pittorici del bianco e nero dentro al quale l’artista inietta percettibili note di colore. C’è una costante che percorre tutta l’opera di Giovanni Cesca – riscontrabile fin dai lavori di matrice surrealista realizzati nei primi anni settanta – e risiede nell’interesse per la deformazione e per gli stessi repertori dell’illusionismo prospettico, esasperato fino al paradosso di Escher o rivisitato, come per l’appunto in queste sue Città parallele, con sottigliezza concettuale. Se, come credo, la società contemporanea ha messo in discussione l’idea stessa di spazio, questo non potrà più essere rappresentato, ma semplicemente percorso, occupato. Così, anche l’artista dovrà evolvere lo stile verso le tipologie o (topologie) dell’installazione o di una pittura strutturale che altera o per lo meno modifica la percezione del visibile. Ecco allora che per soddisfare le nostre istanze di totalità, l’immaginario dell’arte può trovarsi coinvolto in modelli scientifici e filosofici che aprono alla conoscenza, all’introspezione, alla sensibilità estetica dell’insolito e di conseguenza all’utopia. Giovanni Cesca è un’artista che frequenta tutte queste discipline e dunque coinvolto nella rappresentazione di quell’universo sotterraneo inteso a destituire la realtà e a sostituirla con l’immaginario fantastico del sogno, certamente più rassicurante e sensibile. In un suo lavoro del 1986: Omaggio a Italo Calvino, storia in cui si cerca e ci si perde, Cesca rielabora il clima delle certezze rinascimentali: spazio, tempo, materia, prospettiva, in una composizione che mette insieme i diversi elementi dell’astrattismo e della figurazione. Una personale visio mundi mirata a ripercorre la disposizione chiave di un costruttivismo che abbraccia anche il cubismo di Picasso con l’interrogativo della quarta dimensione. Dotato di un punto di vista totale, questo suo lavoro è dominato dalla regolarità e dalla ‘regola’ armonica dell’ordine e del disordine e anticipa in qualche modo le Città parallele. Le simmetrie, i canoni proporzionali aurei, i rapporti geometrici e matematici che regolano la composizione di questo ciclo dichiarano riscontri precisi con tutta l’arte del Novecento: dal divisionismo alle prime avanguardie e all’astrattismo, per la ricerca sistematica di un punto focale interagente tra la zona del pensiero e la sua rappresentazione. Un modello ‘costruttivo’ che Giovanni Cesca applica anche nella concezione di un bianco e nero policromo, ricco di sfumature interattive tra il segno e il colore, e anche in questo campo è facile riscontrare una precisa volontà dell’artista a intraprendere un’indagine cromatica sempre più orientata ai canoni scientifici della percezione visiva. Giulio Macchi un un suo scritto del 1986 afferma che la quarta dimensione di Einstein ha aperto le porte ad altre dimensioni possibili: “Per ben capire un mondo ad un certo numero di dimensioni dovremmo poter scendere in un mondo a dimensioni inferiori per poi ritornare ad affrontare mondi a dimensioni maggiori. Da tre dimensioni scendiamo a due, poi ad una, poi a zero. Qui diventiamo punto cioè spazio a zero dimensioni privo di lunghezza, larghezza e spessore; qui non esisteremmo e non sapremmo neppure immaginare lo spazio a una dimensione: la linea che è solo lunghezza”. Giovanni Cesca sembra trasferire nelle teorie concepite da Macchi ‘lo sguardo’ verso quelle dimensioni parallele, definite e nello stesso tempo indefinibili, ma lo sguardo va ben oltre il fenomeno fisico della visione, esso si estende al campo delle relazioni e poi a quello della personale interpretazione di ogni singolo fruitore. Ecco perché l’artista si limita a fornire solo qualche indizio cognitivo lasciando poi a chi guarda, la facoltà di redigere l’immaginario di ogni plausibile interpretazione. Assistiamo così a quello che Cesca propone come una mappa dialettica dell’infinito, un puzzle di combinazioni aperto a possibilità di scambi, rapporti, dialoghi, finanche a contraddizioni o contestazioni nel confronto tra l’arte e la scienza. Un lavoro articolato il suo, che offre non una impostazione a tesi unilaterale, ma un vasto e affascinante panorama di echi, similitudini e altrettante possibili trasformazioni. L’opera d’arte è lo strumento che permette di traslare il tempo e lo spazio dalla cognizione del reale finanche ad un immaginario in antitesi con esso. Un immaginario fantastico dove è ancora possibile affermare e negare, per poi tornare ad affermare, a negare e a riaffermare l’infinito e le sue innumerevoli deviazioni periferiche. |