Giovanni CESCA

Giovanni Cesca

GIOVANNI CESCA ALLA “ GALLERIA G 70 “
di Leonardo Rossi
1970

 

L’idea di fare un articolo per giudicare una mostra di pittura mi è venuta notando la necessità esistente a S, Donà di far conoscere e sviluppare il gusto genuino delle espressioni dell’arte.
Ho pensato quindi che l’occasione venisse propizia allorquando un mio amico fosse espositore alla galleria d’arte Gruppo ’70, la quale offre non pochi motivi di interesse data l’originalità dell’iniziativa ( evidentemente per la zona di S. Donà ), e del valore di talune sue mostre; tentativi, non solo di provocare uno scambio culturale in un ambiente, per estrazione sociale, ristretto e amorfo, ma anche esempio concreto di ricerca e intenzione, volte a una seria rivalutazione di una arte pittorica spesso fraintesa e superficiale.
Ora da questi presupposti non è difficile collegarsi alla mostra di questi giorni che vede come autografo G. Cesca.
La sua mostra è stata certamente un motivo interessante per il pubblico sandonatese che si è trovato per la prima volta di fronte a un’arte tanto decantata appunto perché mai conosciuta, e che offriva, per chi ne fosse interessato, dei motivi di contenuto, ma soprattutto tecnici, notevoli.
G.Cesca è giunto a questa mostra preparato, non solo le idee e le manifestazioni espressive tipiche del Surrealismo, ma sopratutto, per portare per la prima volta all’ambiente sandonatese, un nuovo modo di concepire l’arte non solo nelle sue intenzioni ma soprattutto nelle sue funzioni.
Sono appunto questi caratteri della sua pittura quelli che interessano in quanto pongono ai nostri occhi delle notevoli perplessità. A dare tono e senso a tutta la mostra del Cesca stanno quattro movimenti ampiamente introdotti e conclusi che formano il tema centrale delle ultime ricerche da lui condotte.
Secondo quanto affermato nel suo invito personale, questa ricerca richiamava al concetto aristotelico dell’oggetto dell’arte, ossia “ il possibile verosimile “, inteso non come rappresentazione del reale relativa al soggetto, ma nel suo opposto cioè in un tentativo di dare al reale una rappresentazione, ciò porta l’arte a cambiare polo in quanto ponendo il soggetto, in questo caso l’artista, come creatore di un’espressione tendente a rappresentare la realtà, nel suo opposto si ha una realtà che tende a diventare oggetto di se medesima e quindi a creare un mito di se stessa.
Questo giudizio può essere concretamente osservato seguendo la successione cronologica dei quattro movimenti che nella mostra hanno i numeri ( partendo dal primo ) 14 ( Ambienti n° 1), 2 (Ambienti n° 2 ), 11 ( Ambienti n° 3), 6 ( Ambienti n° 4 ).
All’origine di questa ricerca sta una personalità sensibile e rigorosa che incide nelle opere dell’artista in modo a prima vista opposto, in quanto nel rendere la schematicità e la varietà dei temi trattati li sintetizza affrettatamente in una confusione non appariscente nella forma ma evidente nel contenuto.
Infatti procedendo dal primo movimento della serie ( il 14 ) si notano una molteplicità di temi che producono i medesimi effetti, che l’artista deve ancora penetrare e scindere a seconda della loro stessa natura, cosa che già nel secondo movimento ( il 2 ) è stata fatta.
Nel secondo movimento infatti si notano meglio i motivi di fondo di questa ricerca. L’opera penetra di più lo sguardo del pubblico perché ad una maggiore chiarezza espressiva si associa una focalizzazione della problematica del pittore e della realtà.
La sua problematica riecheggia molto l’ambiente accademico sociale nel quale egli è inserito, ma è proprio questo ambiente che è in rottura con lui per quanto, come prima dimostrato, egli voglia volontariamente identificarsi con quello e da quello estrarne le proprie opere.
Già nel secondo movimento infatti si distinguono due parti; l’una, quella a sinistra, sobria, stagliata, apparentemente nitida, ma profondamente caotica, raccoglie appunto le impressioni dell’artista, del suo ambiente tanto da farne quasi uno sfogo, in ogni caso un motivo capace di suscitare il suo riscatto con la parte ( quella a destra ) che meglio esprime la sua personalità. In questa infatti gli oggetti si compongono in una unità non soltanto estetica ma etica in quanto il pittore, nel suo slancio mistico, riesce a trovare una base terrena di questa sua trascendenza come in Dalì, ma al mito.
Infatti proseguendo al terzo movimento osserviamo che già il pittore è penetrato nel problema della sua ricerca, ne intravede l’uscita ma bisogna attentamente osservare a questo punto anche il quarto movimento che è quello che tira le conclusioni del suo discorso.
Nel terzo e quarto movimento appaiono dei caratteri che nei primi due non c’erano, in primo luogo i quadri non appaiono come confronto di due parti come i primi due, essi appaiono più sentiti e più originali soprattutto c’è una minore quantità di temi senza che questi siano stati dimenticati, in più compaiono dei nuovi elementi quali delle figure e delle soluzioni di contenuto e forma che sfuggono quasi all’intenzione dell’artista lasciandone trasparire le intime necessità.
Notiamo infatti come la problematica che di fondo voleva trovare l’individualità dell’artista non solo nel suo ambiente me nella sua persona, si risolva nel ella figura umana, angelo, musa, in ogni caso mito, necessità non conforme alle sue aspettative in quanto non risolve la sua attrazione al trascendente ma anzi, per un processo di involuzione, lo costringono all’immanente ossessionandolo.
Infatti nel terzo movimento le parti che sembrerebbero le più oscure sono le più vere ( come ad esempio in basso a destra ) in quanto dimostrano come la soluzione del problema non sia stata affrontata nella sua natura ma solo nella forma.
Da qui infatti il quarto movimento, quadro ingrato per un pittore delle possibilità di Cesca. Questo movimento è eterogeneo in forma e contenuto, infatti tracciando una linea perpendicolare dalla seconda figura a sinistra, si vedono due quadri completamente diversi. In quello a sinistra si notano delle soluzioni schematizzate, volutamente sintetiche perché aride, il quadro e la tecnica cambiano, non c’è prospettiva ma solo una associazione di effetti plastici, nella parte a destra invece resistono ancora i postumi della ricerca cui ormai fa eco una drammaticità logica e sentita delle figure e una evasione di luce mistica che non si possono trovare se non nella disperazione.
Quindi per lui questa evasione è una “ forma mentis “ non liberatrice come nel caso di Rousseau, di una fantasia frenetica e creatrice, ma solo rifugio razionale e superficiale per cui la vera natura del pittore G.Cesca, il mistico, viene assolutizzata ad esempio estetico pratico togliendo alla sua stessa natura ciò che la rende genuina: la fede.

Homepage