Giovanni CESCA

Giovanni Cesca

Meridiane - Testo introduttivo
Di Giovanni Cesca

 

Vibrazioni sonore, sospensioni remote, interagiscono con l’immaginario che si lascia ammaliare da tanta linfa.
E’ la magia della forma che si struttura nel suo farsi, a partire dall’interconnessione tra processi creativi nelle loro mirabili varianti. E dato che, come la Scienza dice, sembra che il suono sia stato il primo movimento-attore nella manifestazione della materia, tale suono può essere senza dubbio considerato guida per il mondo della visione.
Di ciò ne sono convinto da tempo più nel “sentire” della mia essenza che per le conoscenze acquisite nel tempo.


Da molti anni ( le prime esperienze sono del ’69 quando ancora frequentavo Pittura all’Accademia di Venezia ) realizzo opere direttamente legate a composizioni classiche o contemporanee dettate dal particolare interesse per la musica; in questo processo la dimensione della comprensione razionale lascia spazio ad altre sicuramente più ampie. La richiesta dell’amico compositore Mario Pagotto di condividere ancora una volta un suo progetto musicale si è concretizzata con l’interazione tra possibilità espressive diverse ma contigue come la Musica e la Pittura. Ho ascoltato le dieci composizioni della sua opera Meridiane e ne sono nate altrettante composizioni pittoriche, che amerei chiamare Studi, a volte figurali altre volte astratti, con un unico filo conduttore di tipo concettuale.

Il passaggio tra l’elemento suono e quello formale e cromatico viene dato dalla libera contaminazione tra i vari ambiti dell’immaginario per cui non si può parlare di una traduzione “sistematica” dal mondo dei suoni a quello della visione, seguendo una grammatica come quella che si può vedere in alcuni percorsi storicizzati. Mi riferisco ad un percorso sicuramente privilegiato come quello espresso in “Punto, Linea, Superficie” di W. KandinsKij pubblicato nel 1926 in seguito ai corsi che l’artista teneva già dal 1922 al Bauhaus di Weimar. Questo riferimento è pienamente calzante nel contenuto di questa riflessione, anche perché Kandinskij oltre ad essere il sommo pittore, conosceva e frequentava la musica, suonava anche il violoncello e si sa anche quanta influenza abbia avuto nella sua arte. Basti pensare ai titoli di alcune opere: Improvvisazione, Composizione, che riprendono la terminologia tipica del mondo musicale. Tengo questo riferimento per dire che il lavoro fatto sull’ascolto dei brani di M. Pagotto si è tuttavia affidato anche ad altro.
Mi hanno colpito molto: il ritmo nelle varie sfaccettature, gli spazi dilatati, le sonorità cristalline e i vari dialoghi all’interno delle composizioni. Con questi “materiali” ho ricreato un mondo visivo di forme e colori che, più che essere un commento visivo di quanto si ascolta, esprime una sua parallela specificità.
Pur non addentrandomi nello specifico della poesia, non posso fare a meno di citare “ Le Vocali “ del 1872 di Arthur Rimbaud i cui contenuti si sviluppano attraverso immagini che non vogliono esprimere concetti, ma sono esse stesse dei concetti. Per la carica immaginaria che il mondo di Rimbaud porta posso dire di sentirmi per certi aspetti vicino al suo mondo, la cui genesi è data da un flusso di coscienza che molto si avvicina alle freudiane associazioni libere. Ma non posso tralasciare Jung con il suo mirabile “ Libro rosso”, con l’elaborazione di ciò che è stato definito Inconscio collettivo, dove il mondo del singolo fa i conti con Forze ancestrali alle quali è legato da fili sottili e con le quali è costretto ad interagire se vuole arrivare a conoscere la sua Essenza.

Non saprei come classificare questo lavoro di rapporto con la musica: ogni volta che tento di incasellarlo all’interno di un codice è come se lo volessi imbrigliare e infatti vedo che mi sfugge da tutte le parti . Trovo rappresentati diversi codici: dal Concettuale al Neoromantico, dal Figurativo all’Astratto senza tralasciare il Surreale. Sembra quasi che queste classificazioni, o tentativi di precisazioni, tocchino qualcosa e si configurino in una forma che però subito dopo si trasforma: quasi per una sorta di procedimento alchemico-mentale, sembra siano destinate per loro natura alla trasmutazione.

Un po’ di ordine nella lettura comunque si rende necessario per consentire che avvenga il contatto: tante volte trovo che sia più significativo procedere per allusioni piuttosto che per definizioni. Al momento che un’immagine viene scelta, su questa si imposta la grammatica della costruzione-composizione. “Cosa sia” a decidere che quella è l’immagine che guida l’azione artistica e non un’altra qualsiasi che la mente produce, risulta a me stesso un mistero. Nel mio modo di procedere so che non è l’Ego a decidere ma il Sé. In questo territorio mi sento più vicino alla visione sciamanica del mondo che si affida a percezioni dello spirituale o genericamente quantomeno immateriale che trova espressione attraverso il fisico, il corpo, i sensi. Ed è nell’essere dentro a questo mondo unitario che si vive la comunicazione della miriade delle parti di cui siamo composti all’interno dell’altra miriade di parti che ci stanno attorno. L’Infinitamente Grande in cui abitiamo e l’altrettanto Infinitamente Grande di cui siamo fatti ci pongono al centro della bellezza-mistero del nostro Essere-Percepire. Il tentativo di spiegazione del tutto con un 5% delle nostre possibilità di conoscenza rispetto al 95% che chiamiamo Energia Oscura e Materia Oscura è pura follia. Tutto questo spiazza la ragione e ci rassicura nel nostro Essere-Mistero

Portogruaro, 3 settembre 2018

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