GIOVANNI CESCA
di Patrizia Gherardi
1980
Al di là di un
primo stordimento, prodotto dal tripudio multicolore di tinte stridenti
e abbacinanti, ci disponiamo ed intendere quali siano i significati
dell’opera di Cesca.
Vale la pena di soffermarsi per un attimo a considerare che i natali
veneti devono aver creato nel pittore i presupposti per una totale
vocazione all’uso predominante del colore.
Ma i solidi variopinti, dispersi nell’atmosfera iridescente, non avranno per caso una loro identità concettuale?
Si l’intervento della geometria in chiave metaforica induce nel
fruitore il senso della funzione vitale e vivificatrice che il tendere
alla soddisfazione del “piacere” esplica attraverso i riti della festa.
Ecco allora che coriandoli, fuochi d’artificio, stelle filanti,
tamburi, fisarmoniche, nel pregnante travestimento cromatico
costituiscono l’estrinsecazione visiva di quel particolare momento
dell’emotività che è la ricerca dinamica del “godimento”
Non si tratta pertanto di fortuiti accostamenti timbrici liberamente
composti oltre qualsiasi evento reale, ma piuttosto assistiamo al
configurarsi di presenze figurativo-oggettuali traslate e memori del
mondo segreto degli stati d’animo, sentimenti, sensazioni.
Ciò che il pittore insegue sulla tela è la restituzione di quella
sospensione emotiva che soltanto in senso riduttivo può identificarsi
con le cerimonie della festività “domenicale”.
Del resto si può ben comprendere che Cesca abbia inteso rappresentare
gli aspetti fugaci eppur essenziali del divertimento e dello
spettacolo, qualora ci si ricordi della plurisecolare tradizione che fa
di Venezia una città di addobbi, parate e sfarzosi allestimenti
carnevaleschi.
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