Giovanni Cesca. "Il respiro della natura"
di Giancarlo Pauletto
Ottobre 2018
Il
respiro della natura è ampio, possente. Il pittore ne sente intimamente
la forza, ed è per questo che non sbaglia misure, le dimensioni sono
giuste e il taglio che separa l’alto e il basso costruisce un’immagine
in perfetto equilibrio visivo, il cui centro è il rispecchiarsi,
potremmo dire reciproco, tra cielo e terra, cielo e acqua, una sorta di
consustanziale unità di cui si avverte la forza incontrastabile. Il
verde dell’erba, degli argini del fiume , degli alberi sulla destra,
dell’orizzonte che in lontananza dà dimensione e profondità alla veduta
è in contrasto deciso con la trasparenza, la ricca purezza dell’aria e
dell’acqua: un contrasto necessario, strutturante, mentalmente deciso.
È appunto ciò che allontana questa “natura” di Cesca sia dalla
sfavillante dimensione impressionista, sia da una troppo semplicemente
abile versione naturalistica, collocando l’opera in sentita dimensione
contemplativa. Queste sono le osservazioni che mi vien fatto di
esprimere guardando la tela che il pittore ha intitolato Nuvole
azzurrine sulle acque del Basso Piave (2007): osservazioni che peraltro
non variano, nella sostanza, per quanto si potrebbe affermare rispetto
all’opera Brumesteghe liventine (2009), apparentemente così diversa,
tutta giocata, oltre il medesimo tema di natura e paesaggio, sulla
levitante magia di cromie che vengono, parrebbe, appena sfiorate : ma
appunto si tratta di “magia”, cioè di un’intenzione che prende la
natura come persistente occasione di meraviglia, di stupore: ancora una
volta dunque ponendo la sorgente dell’emozione nella ricchezza
misteriosa di un “essere”, che appare alla fine incommensurabile in
rapporto alla nostra capacità di comprensione. Che questo sia il modo
giusto di leggere la pittura di Cesca presente nella mostra presso
l’Abbazia di Sesto al Reghena mi pare confermato anche da tele quali Lo
stilo di Reitia (2006) o Sussurro venetico (2003), dove l’elemento
simbolico chiaramente esplicitato non è che la conferma di un
atteggiamento, rispetto a quanto è naturale, che va oltre la semplice
apprensione visiva dei dati di realtà. È per simili ragioni che ci è
parso giusto e opportuno coinvolgere il pittore di San Donà di Piave
nelle iniziative artistiche che accompagnano le manifestazioni musicali
del XXVII Festival Internazionale di Musica Sacra, intitolato
quest’anno Passioni e Risurrezioni: perché appunto la sua pittura può
essere ascritta, a nostro parere, nell’amplissimo tema della
“risurrezione”, in quanto la natura, così come espressa da Cesca, è una
potenza inarrestabile, e quindi sempre “risorgente”, sempre portatrice
di un futuro di vita. Certo anche di una vita che può prescindere
dall’uomo ma questo, se accadrà, sarà probabilmente più per colpa
dell’uomo medesimo che della stessa natura, la quale finora ha
dimostrato di saperlo accogliere nel suo disegno, mentre la stirpe
umana deve ancora dimostrare di saper fare la stessa cosa: di saper
cioè accogliere la natura nelle sue complesse esigenze d’equilibrio.
Nella mostra dunque sono centrali, per le ragioni fin qui descritte, i
quadri che rappresentano la campagna attorno al Piave e alla Livenza,
alle acque e alle terre che scendono verso il mare nella loro ampiezza
di cieli e di orizzonti: anche quando si tratti della natura invernale,
come è il caso di Nevicata sul Brian (2010), opera che conferma
nettamente quanto andiamo dicendo: nella levigata lucentezza della
stesura non è da riconoscere solo una tecnica lungamente esercitata - e
uno spontaneo amore per la visione -: c’è invece ancora un domandare,
un corpo a corpo con lo stupore dell’esistente. Accanto a queste opere,
tuttavia, ci è parso bene esporre anche una serie di “nature morte”,
nelle quali è tematizzata una “perfezione” che è ancora testimonianza
dello stesso sguardo riconoscente, “devoto” potremmo dire, ma anche
interrogante sulla realtà. Si tratta di opere quali Trasparenze nella
luce velata, La finestra dello studio, A Nike, Meditazione. Qui il
“naturale vivente” è strappato dal suo contesto, è posto in una
situazione di astratta immobilità per esaltarne, sembra a noi, una
sorta di possibile, araldica eternità. La meditazione che l’artista
conduce sulla visione “naturale”, bloccandone in precisione compositiva
la temporalità, qui diventa, nell’algida ma non gelida perfezione del
bianco-nero, quasi un’ invocazione al tempo perché si fermi, una sorta
di fiducia sull’eternità della vita oltre le apparenze. Lasciando
trasparire una sottile malinconia, a noi pare, la malinconia del
dubbio, così umanamente comprensibile e così nitidamente espressa in
queste tavole.
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