TERRA D'ACQUA TRA STORIA E PAESAGGIO
GIOCO DI SPECCHI E DI MEMORIA
NELL'ARTE DI GIOVANNI CESCA
di Chiara Polita
2010
Due grandi liberi orizzonti
segnano l'identità del paesaggio di bonifica tra Piave e Livenza, in
una dimensione trasversale al tempo: la distesa del cielo e il fragile
manto di terre anfibie, con le quali tuttora si confronta l'ingegno
umano, incise da varie presenze d'acqua, che nella forma dei due fiumi,
di canali e antiche lagune, rincorrono le metamorfosi della volta
sovrastante. Così riflessi ora morbidi, caldi o metallici e taglienti
diventano spesso autonomi paesaggi di emozioni, sempre intimamente
legati, anche nel loro attuale impatto visivo di razionale e astratta
geometria di canali ed argini, all'intima radice di terre d'acqua
sintetizzate dall'ancestrale immagine avvolgente, quasi sacra e
senz'ordine, della palude, altro astratto sul piano inconscio ed
emotivo.
Cieli ed acque sono quindi
ciò che già caratterizzava, per le terre del Piave, nella seconda metà
dell'Ottocento, la pittura di Vittorio Marusso (1867-1945), con i suoi
incendi di tramonti sugli umidi silenti specchi plaustri, riflesso di
un paesaggio ancora indomito e profondamente suggestivo; ma questi
stessi elementi sono stati, e tuttora continuano ad essere,
l'imprescindibile componente genetica dei pittori del Basso Piave che
naturalmente cercano l'acqua, anche quando sono all'estero, in un gioco
oltre il tempo che sempre si confronta con l'originaria storia e natura
del territorio. L'artista che cresce e vive lungo le sponde di un corso
d'acqua, per un suggestivo processo di metamorfosi, prerogativa
caratteristica già nell'antico delle divinità fluviali, si identifica
con il fiume, conservando sempre in sé quel flusso irrequieto di
storia, tradizioni ed emozioni che raccontano in divenire la sua
identità e quella della sua terra, scorrendo al tempo stesso come
metafora dell'esistenza.
In quest'alveo tra cielo e
terra, specchio indagatore di riflessi senza età, tra passato, presente
e futuro, si inserisce una parte della produzione artistica del
sandonatese Giovanni Cesca. La volontà di esplorare la propria terra,
quasi come sfida di quanto l'artista stesso conosce di quest'ultima, si
è tradotta in un duplice itinerario approdato, da un lato, all'incontro
inevitabile con il paesaggio fluviale e di bonifica, dall'altro ad un
percorso inverso: dalla foce alla sorgente, alla ricerca dell'identità
antica di quello scenario e alla memoria dell'interazione tra uomo e
ambiente che affonda le radici nell'archeologia.
Si alternano
dunque, tra sapienti pastelli di grandi dimensioni e dipinti ad olio,
intensi scorci delle anse verdeggianti del sinuoso Livenza, del fiume
sacro, il Piave, che lambisce la città dove Cesca vive, e profondi
tagli di canali di bonifica, affascinanti in tutte le stagioni. Nessun
elemento è tralasciato dall'artista, maestro del segno e del colore,
che nel vivido realismo di quelle immagini desidera creare il
coinvolgimento dell'osservatore, portato ad immedesimarsi nei suoi
stessi occhi per assorbire interamente l'attimo incantato della
visione. Non è il tempo dell' "impressione" ma il lento lavorio
speculativo della "riflessione" che è anche indagine sulla materia, sul
colore e che scava da dietro la tela, invitando a procedere oltre. Così
quel viaggio che a volte si libra leggero, nei tagli quasi a pelo
d'acqua, a volte sovrasta in volo il flusso sottostante, fino a
smaterializzarsi nei cieli, non si risolve mai in una ricerca
d'identità solamente personale, ma tende piuttosto allo stupore di una
scoperta da condividere e che rende chi osserva parte di un unico
paesaggio, contemplativo e silenzioso, quasi fermato come istantanea di
un'intuizione.
Le intense atmosfere di
queste terre che, nei suoi elementi naturali già di sapore primordiale,
creano in alcune opere uno scenario sospeso tra romantico e sublime,
già costituiscono l'assolo per l'ulteriore sentiero intrapreso
dall'artista, destinato ad altri esiti che costruiscono quasi una nuova
metafisica. Nel ciclo dedicato ai Veneti antichi, il realismo di Cesca
si stempera quindi in una dimensione onirica che tuttavia mantiene
sempre un lucido controllo nella volontà speculativa, approdando al
recupero dell'antico, che riaffiora in un gioco di specchi tra
paesaggio, inconscio, memoria visiva e linea del reperto, sinergico ed
interattivo con il paesaggio stesso, quale ponte e strumento di analisi
di identità attraverso il tempo.
Nell'essenza anfibia di queste
terre, dalla quale si sollevano umide nebbie, ritagliate tra dossi nei
quali si è insediata la vita tra spechi d'acqua di fiumi, paludi e
canali, Cesca fa rivivere la testimonianza archeologica che diventa
gioco di linee e di segni con lo stesso paesaggio contemporaneo,
proponendosi quale suggestivo eterno presente, che interroga
l'inconscio e la memoria. Come filiformi presenze, dominanti nel loro
aspetto cerebrale, avanzano nel paesaggio gli stili scrittori della dea
Reitia, potente dea madre venetica, associata anche all'insegnamento
della scrittura: si stagliano nella laguna, come evanescenti presenze
in metamorfosi col canneto circostante, emergono silenti tra le foschie
dell'antica palude o in un gioco di richiami si alternano, in
contrappunto, alle presenze alberate che tuttora scortano alcune strade
e canali di bonifica e che nelle linee figurano come alter-ego degli
stessi stili. E' il tempo che ancora scrive il paesaggio e in cui si
confondono uomo, memoria e identità in una prospettiva non lineare, ma
circolare che aiuta a rileggere il presente; e la magia che attiva il
ricordo e che aiuta a sfogliare come libro di segni il paesaggio, è
celata nei segni venetici della scrittura che gli stili portano
impressi nel loro corpo, come incantesimo e voce da svelare.
A volte il reperto è invece isolato nell'inconscio nella volontà di
esplorarne i particolari, che riscoprono sintesi di linee e forza di
segni già sorprendentemente moderni, nella loro essenzialità e
gemotrie: ne risulta una coinvolgente serie di pastelli che rivivono
parti salienti di antiche lamine votive sbalzate nelle quali affiora,
senza tempo, il sacro: si susseguono suggestioni dal disco di Reitia,
all'incedere del guerriero, agli zoccoli scalpitanti dei cavalli, per
l'allevamento dei quali i Veneti antichi erano particolarmente
rinomati. Lo stesso Dioniso di Siracusa faceva giungere dalle terre di
Veneti i suoi cavalli, celebri e veloci. E proprio nelle terre del
Piave questa illustre tradizione lasciò un importante retaggio
ricorrente in alcuni toponimi (si pensi ad esempio a Jesolo -da
Equilium – equus in latino = cavallo- o al lido di Cavallino) e nella
tradizione della razza equina Piave, che a San Donà di Piave mantenne
la tradizione di una importante fiera di cavalli, nel mese di maggio,
fino all'inizio del Novecento.
E' tuttavia soprattutto nella dimensione del sacro, in ci si fondono
memoria, inconscio e paesaggio, che Cesca afferma energicamente il
senso dell'identità della sua terra e della sua storia, in un continuo
gioco di specchi.
Così in "Presenze all'albero
di Reitia", su un dosso circondato in parte dall'acqua, importante
elemento rituale, tra le foschie gassose di un'alba che ricorda
l'atmosfera di un altro pianeta (ma che di fatto incendia i cieli di
queste terre) sfuggenti presenze, come ombre, si allontano o incedono
verso l'albero sacro sui cui rami è appeso il disco votivo con
l'immagine della dea Reitia, signora della vita e della morte, potente
dea salutare, connessa anche alle acque che purificano, che salvano. Ne
risulta una dimensione del sacro che trova nella natura del paesaggio
la sua essenza, tra boschi e in prossimità di corsi d'acqua. E l'eco
della dea madre che guarisce troverà nel tempo grande seguito nel
Veneto, attraverso quel processo di sincretismo che porterà a
sovrapporre ad antichi culti quello della Vergine, associata alla sfera
della salute: non più su dischi sbalzati, come per i Veneti antichi, ma
su semplici capitelli, la Mater Dei troverà ospitalità all'ombra di
rami e sui tronchi d'alberi, quale segno di pietà e devozione della
civiltà rurale, nella quale a lungo cotinuarono a coesistere rito e
magia.
Nel sentiero anfibio intrapreso, viaggio sui fiumi e lungo
la storia, l'arte di Cesca sapientemente ritraccia quindi un'identità,
che in queste terre d'acqua, spesso parla suggestivamente al femminile,
ricorrente dall'antico nel nome stesso dei due fiumi, "la Piave", "la
Livenza", nonché nell'immagine materna e matrigna della palude,
territorio astratto dell'indefinito e ancestrale dominio delle acque in
cui si congiungono e confondono i due estremi del mistero luminoso
della vita e oscuro della morte, come era attributo e regno della
venetica Reitia e delle stesse dee madri.
Così memoria, acqua, terra e uomo partecipano in Giovanni Cesca ad un unico, intenso, quanto amato, paesaggio senza tempo.
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