Metamorfosi. Siamo paesaggio
di Chiara Polita
2024
Estratto
dall'introduzione del libro "Draghi revèssi e òmini de fango (cussì se
inventa un paesajo) - Draghi rovesci e uomini di fango (così si inventa
un paesaggio)", testo poetico di Fabio Franzin, immagini di Giovanni
Cesca.
L’acqua
scopre. In un’alternanza che diventa specchio di precarietà, uomo,
terra, acqua, macchina e paesaggio, diventano un tutt’uno nelle terre
di bonifica raccontate da Fabio Franzin e Giovanni Cesca. (…)
Lo spunto parte dall’opera di Cesca, da anni impegnato in una ricerca
sulle terre d’acqua fra Piave e Livenza. Dalla naturalità dei fiumi,
l’indagine si è aperta al paesaggio di bonifica nelle sue molteplici
presenze, fatte di natura e di segni dell’uomo: distese di terra e
orizzonti, geometrie di canali, fioriture, manufatti di idrovore,
ponti, case, impalpabili atmosfere di nebbia.
In ogni ricerca la domanda è spesso più importante della risposta, così
quella di Cesca da “fuori” si sposta “dentro” ciò che crea il paesaggio
artificiale della bonifica nelle “terre basse”, al di sotto del livello
del mare. La sua pittura si affaccia quindi alla scoperta degli interni
delle idrovore, alle macchine che sfidano l’acqua. Ne esce un mondo di
dettagli, espressione di una cura che sta non solo nella parte
meccanica, ma anche negli impianti idrovori: belli, oltre che
funzionali. Suggestive architetture in mattoni rossi che ritagliano
nell’orizzonte sagome nette e riconoscibili, ceramiche della Fornace
Gregorj negli interni dell’Idrovora del Termine, vetrate dalle
partiture colorate di giallo e blu, a costruire l’immagine di
“cattedrali dell’acqua”. E poi turbine, motori marini dal fascino di
giganti di ferro, costruttori di paesaggio, grazie all’ingegno umano
che a sua volta le ha pensate.
Se già all’inizio del Novecento il paesaggio di bonifica è precocemente
futurista e, in parte, già astratto visto dall’alto, nell’ultima
riflessione di Cesca sono ancora le macchine protagoniste di una
trasformazione che riunisce in sé passato, presente e futuro, così come
il paesaggio che contribuiscono a creare. “Dentro” e “Fuori” si
confondono per diventare specchio di un unico, incessante lavoro e sono
le stesse macchine, a volte in una visione onirica, a tradursi in
elementi fusi con la natura, come dichiarato dai titoli dei dipinti:
“Grande Macchina con anima d’alba rossa”, “Nuvola albero macchina”,
“Nebbia macchina sulla pianura”.
Non solo sogno, pensiero, ma anche materia che si fa ruggine come in
“Guardiani sul Brian-Ruggini” o nelle griglie policrome che dai vetri
di un’idrovora restituisce un pastoso gioco di luce. Così le variazioni
materiche di una risaia possono diventare un’altra vetrata distesa,
colorata dalla natura, dalla terra, dal riso, dall’acqua.
In tale narrazione l’imponenza dell’opera e delle strutture rende le
stesse macchine soggetti epici, parte del costante cambiamento del
paesaggio, frutto di una complessità da interpretare a ogni strato.
Anche questo richiede una nuova fatica, un tempo lento per osservare,
per comprendere. Perché la bonifica non si riesce autenticamente a
vedere se non si conosce. È storia, cultura, oltre che scienza e
natura. (…)
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