DIETRO LE QUINTE
di Attilio Rizzo
2003
Non è semplice; non lo è per niente. Un grande amico mi chiede un grande impegno.
E' in programma una mostra di Cesca, voluta dall'Amministrazione
Comunale di San Donà di Piave. La manifestazione avrà un respiro ampio
ed un apparato rigoroso, come è dovuto a chi fa vera pittura da più di
trent'anni.
A me tocca il compito di dare qualche indicazione per rendere più
agevole la comprensione di alcune caratteristiche di Cesca, frutto del
suo vissuto e della sua maniera di interpretare la vita ed il lavoro di
artista.
Ad altri, specializzati nell'analisi critica, il compito più profondo
di storicizzare le opere e di cogliere i legami culturali ed i percorsi
tecnici che portano questo pittore così strano ad esprimersi come fa
oggi.
Quindici anni fa scrissi un paio di cartelle su una mostra di Giovanni.
Mi vanto ancor oggi di aver predetto che il suo percorso sarebbe
proseguito con il figurativo. E che figurativo!
Analogamente rivendico di avere allora sottolineato il legame tra
l'opera di Cesca e l'aria di "bottega artigiana" respirata nella
sartoria paterna. E, a distanza di tre lustri, ecco l'altissimo
riconoscimento di questo debito nelle enigmatiche e stranianti tavole
de "Gli oggetti della sartoria".
In quel breve scritto, accennavo anche ad un'altra particolarità del
Nostro, che mi riusciva facile cogliere, perché interessato da sempre
ai movimenti che avvengono nei vasti territori della Scienza. Mi
riferisco alla capacità, spesse volte addirittura inconscia, di Cesca,
di cogliere concetti ed astrazioni della Fisica o della Biologia
moderne e renderli "attuali" ed "individuabili" nelle sue opere.
Tanti pomeriggi nel suo studio dagli
odori aromatici, cene e serate distese, ora a casa mia, ora a casa sua;
una frequentazione assidua e discreta che dura da tanto tempo,
rafforzata inizialmente dai figli quasi coetanei che imponevano ritmi
consonanti ed abitudini analoghe.
Così, quando affiorò l'idea di
condurre questo testo scritto come un'intervista, avvertii subito un
certo disagio. Sarebbe stato come se avessi intervistato mio padre o il
mio compagno di banco del Liceo. Avrei dovuto gestire una situazione
poco credibile, col rischio di renderla fasulla o melensa.
Le opere di Giovanni le conosco quasi tutte, ci sono quadri che ho
visto nascere ed evolvere nell'arco di mesi. Di essi conservo un
ricordo "stratificato" che mi permette di averne una visione
stroboscopica che coagula, passo dopo passo, nell'opera finita.
So come la pensa e come la pensava, abbiamo parlato per giorni di Arte
e di Scienza, di Religione e di Filosofia, ma anche di famiglia e di
politica, di sogni, di viaggi e di piccole sciocchezze.
Mettermi lì, col piglio professionale che non possiedo, inventando
domande per risposte che mi sarebbero già state in gran parte note, mi
sembrava una situazione debole, anche se creata come "artificio
retorico" dichiarato.
Avevo perciò deciso di dare un taglio diverso a questa presentazione, ma non riuscivo a venirne a capo.
Poi Giovanni, mi diede i fogli della
sua "Tavolozza", una raccolta di brevi scritti, ognuno dei quali si
appoggia al nome di un colore. In queste pagine, il Nostro descrive
situazioni dell'infanzia e della giovinezza, importanti per il suo
futuro di pittore. E così, convinto di sapere tutto di Cesca, mi sono
invece trovato a leggere descrizioni e brani che mi hanno impressionato
per la loro essenzialità e che mi hanno portato ad intravedere chiavi
di lettura nuove ed affascinanti.
Rimando l'interessato alla
lettura almeno di "Rosso filofort" ed "Azzurro gessetto per sarto". In
essi ci sono miniere di informazioni su come gli oggetti e le cadenze,
i rituali e le presenze del laboratorio sartoriale hanno preparato il
futuro artista all'amore del lavoro artigianale, alla predisposizione
per la ricerca tecnica, al fare, ripetuto e sempre perfezionato, che
rende sapiente la mano ed il polpastrello e non solo l'occhio e la
mente. Se è vero che Cesca, al di là delle indiscusse valenze
artistiche, si distingue in modo netto dalla gran massa dei pittori per
la sapienza costruttiva dei suoi lavori e la quasi provocatoria
facilità con cui passa da una tecnica all'altra, queste sue brevi note
possono far capire da dove deriva tutto questo.
Leggo da "Rosso filofort" : "C'erano
varie misure di cilindretti e a ciascuna di esse corrispondeva una
colorazione diversa del marchio FILOFORT; in ordine di altezza, a
partire dai più piccoli, venivano quelli color carminio, poi i
vermiglioni, i verdi …" e ancora " … incominciavo a spostarli ad uno ad
uno, chiodi e spagnolette, rigorosamente allineati o zigzaganti a
meandro, inserendo ogni tanto delle varianti, per ammazzare la noia
della ripetizione."
Ed allora vedo questo bimbo, pur non
riuscendo ad immaginarne le fattezze, che con l'assoluta ed
intransigente serietà che solo il gioco richiede, usa questi grumi di
colore per le sue fantasie, le sue scale, le sue seriazioni. La prima
Materia, da padroneggiare attraverso il Nome e da ordinare per
organizzare lo Spazio, è per Cesca il Colore, sotto la familiare e
disponibile forma dei rocchetti di filo tinto del laboratorio paterno.
Ed essi formano anche i primi agglomerati nei quali introdurre le
asimmetrie e le variazioni che, attraverso il disequilibrio, generano
il movimento e la Vita.
Il Colore è la Materia su cui si è esercitata l'attività dell'artista
bambino ed il Colore è il suo primo e più forte referente per la
Creazione.
E' forse strano allora, che la pittura di Cesca sia dominata dalla continua ricerca sul Colore ?
Dagli astratti, ai concettuali, dalle esplorazioni dell'acrilico, agli
oli e persino in lavori a matita e carboncino nei quali, con una
dozzina di sfumature di grigio, riesce ad accendere un gioco
coloristico nel bianco e nero, Giovanni ha sempre visto la realtà come
giustapposizione di colori. Ma vorrei spingermi oltre.
Perché il colore dei quadri di Cesca è così vivo, così mobile,
guizzante ? Perché si attorciglia su se stesso, e sulla luce che lo
informa, fino a trasmettere la sua vibrazione alla vibrazione
limitrofa, modificandola e venendone modificato ? Forse perché il
colore si è manifestato come "filo", come "entità monodimensionale"
invece che come punto adimensionale o come massa chiusa in se stessa?
Guardate i fiocchi di nuvole, i giochi delle foglie, persino le
superfici delle acque e vedrete una realtà di lampi interconnessi,
quasi una macroscopica traduzione della teoria delle stringhe, quella
modernissima teoria fisica per cui il mondo non è composto di atomi,
minuscoli punti di materia, ma da entità pluridimensionali
infinitamente più piccole che collassano sotto forma di tubicini
avvolti su se stessi.
E leggo ancora da "Azzurro gessetto per
sarto" : "Si trattava di segni che aprivano geometrie precise e
morbide, condotte con la grafite a scaglie, intervallate da altri
tracciati rossi e blu, … Era qualcosa di simile ai percorsi dei binari
ferroviari … Accanto ai segni o alle scritte stava una serie di
conteggi come 1/10 statura=17 e poi 1/3C:+1=8 e subito dopo 1/3C:+1=7 …"
Io ho avuto la possibilità di vedere questi cimeli di sessant'anni
prima : i modelli di vestiti di un corso di perfezionamento del padre
di Cesca.
Giovanni li apre uno ad uno, sul pavimento dello studio. Mostra,
indica, racconta ed io su quei fondi giallini, che solo il tempo può
creare, avverto la mano dell'uomo che ordina l'informe, che crea la
Legge e la fissa su un supporto fisico per tramandarla. Segni simili,
di una casualità così organizzata e rigorosa, li ho visti nei
tracciati, reali o virtuali, delle particelle che i fisici marcano coi
pennarelli sulle lastre con le quali fotografano il sotterraneo
ribollire della materia che tutto crea e tutto sostiene. E da
quell'informe balletto di corpuscoli dai nomi esotici, la mente
dell'uomo trae regole e direzioni, leggi e scorciatoie per raggiungere
i suoi scopi e quindi le annota e le congela con pochi segni nervosi e
sapienti. Analogamente, in quei tratti azzurri e rossi, patinati dal
tempo, emergono le regole di costruzione di un abito, accompagnate del
loro apparato esoterico di scritte misteriose ed incomprensibili,
simili, nell'esiguità dei simboli usati, alle formule dei fisici
quantistici.
Ma un abito non è un'entità perfetta, esso è più vicino alla dinamica
imperfezione dell'organico, ove tutto esiste solo perché cerca un
equilibrio mai raggiunto … prima della morte. Un abito riveste
imperfezioni e quindi la sua forma e la sua costruzione sono più
Creazione che freddo sviluppo geometrico mentre la sua essenza è quella
di svolgere una funzione, in un contesto di eleganza e piacevolezza..
E volando, sui decenni e sulle analogie, ritrovo il tutto nella ferrea
volontà di Cesca di dare una Forma a ciò che rappresenta. Nelle sue
opere non vi è mai una concessione, una caduta; non esistono angoli
negletti o scorci abbandonati ad una facile pittura. Tutto deve essere
completo in sé ma deve anche rispondere ai richiami del quadro,
entrando nella sua Unità. E l'opera deve essere (perché no?) piacevole,
per attrarre l'occhio e trascinarlo poi nelle profondità.
E così, se i rocchetti furono la Materia, le strutture paterne devono
essere state la prima compiuta manifestazione della Forma che ha legato
Cesca alla realtà.
Ma è sul Tempo che vorrei condurre
l'ultima riflessione sull'opera di Cesca. Desidero farlo perché ho
notato delle strane confusioni, anche in osservatori attenti e
preparati.
A volte l'artista si avvale di foto e schizzi, note
ed appunti, per cogliere un'atmosfera, un lampo di luce, una
suggestione che vuole poi ricreare, trasformandola, sulla carta o sulla
tela. L'aiuto più potente è certamente la macchina fotografica che
Giovanni usa soprattutto quando affronta una nuova serie di lavori.
Eppure i suoi paesaggi, ed anche gli strani quadri "di interno" come
"Gli oggetti della sartoria", tutto sono fuorché tentativi di
riproduzione fotografica della realtà.
Ho pensato a lungo a questa singolarità :"Perché certi quadri sono più
"veri" di una foto, che pure è più nitida e precisa, specie nei
particolari ? Cosa distingue una riproduzione artistica da una copia
fisica ?"
Penso che la risposta sia proprio : il Tempo e ritengo che in questo Cesca sia un maestro.
Sulla superficie di un quadro, che già di per sé è fisicamente diversa
dalla piatta superficie di una foto, sembrano sedimentare ore di
riverberi di sole o giornate di cielo luminoso. Ed in certi paesaggi si
depositano addirittura i giorni sfolgoranti e le notti stellate di
intere stagioni che spalmano tutte le loro luci sulla tela fino a che
la rappresentazione diventa tramite per penetrare la realtà, per
leggerla in modo meno affrettato e per renderne lo spessore e l'aroma.
Ed è in questi momenti che l'arte diviene consolatoria : poiché
intuiamo, magari solo per un attimo, che l'unica dimensione che dà un
senso al nostro esistere è il vortice inarrestabile del Tempo. Da esso
traiamo conoscenze, suggestioni e spinte e ad esso affidiamo il nostro
piccolo contributo all'infinita scalata dell'Uomo verso il suo domani.
E Giovanni il Tempo lo ama e lo comprende. Lui sente la Storia e la
Tradizione e lo manifesta nei grandi quadri dove rende omaggio all'Arte
del passato, ma soprattutto ha la sensibilità di cogliere gli
indistinti bisbigli delle ore che avvolgono di magia ogni luogo … una
golena persa nella bruma … un cassetto disordinato …un albero nella
calura … ogni luogo : purché si sappia ascoltare.
Continuerò a frequentare Giovanni, ad
andare due o tre volte al mese a visitare il suo studio ed a spendere
qualche parola sugli ultimi lavori. Nel frattempo coltiverò anche i
miei interessi extra artistici e cercherò di farlo nel modo più
completo ed efficace possibile, come l'esperienza e lo scarso tempo a
disposizione mi vanno insegnando.
E poi … Speriamo bene !
Perché tra quindici anni, Cesca sarà capace di domandarmi qualche altra
riga per una sua mostra e, conoscendolo bene, ho già iniziato a
chiedermi : "Cosa si sarà inventato nel frattempo ?"
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