Giovanni CESCA

Giovanni Cesca

La precisione, dunque: che si avvale di una tecnica esecutiva raffinatissima, spaventata da niente: si verifichi come Cesca, nell'opera del 1999 intitolata "Ganci", risolva in perfetta nitidezza la "messa in scena" di questo brulichio di piccole forme individuate una per una, ma tenute robustamente insieme da un grigio dominante vivo tuttavia di innumerevoli bagliori; e ancora si constati, ne "I bottoni dai riflessi chiari" (2001), con quanta acuminata sapienza venga resa la sostanza "tattile" dei piccoli oggetti, tanto che ci si immagina di poterli far scorrere tra le dita.
Questo dei bottoni, del resto, è un soggetto che affascina particolarmente il pittore, se così frequentemente attraverso di esso egli giunge a risultati di grande nitidezza, giocando su cromie leggere, a volte quasi trasparenti, preziosissime, messe in rapporto con dei grigi e dei neri a loro volta perfettamente determinati nella loro qualità cromatica, dando vita, alla fine, ad una sensazione di svelamento, di scoperta, tanto più intensa quanto appunto più legata ad un oggetto in se stesso comunissimo, e ancor più di altri strettamente legato ad una definizione d'uso.
Ed è anche determinante, nella realizzazione di queste immagini, la "casualità".
Non si vuol dire, con ciò, che l'artista scelga o debba scegliere le sue "inquadrature" a caso: anzi, esse potranno pure risultare studiatissime, ma è fondamentale, affinché mantengano la loro natura di "reliquie" e di "reperti", che ciò non si veda, che la composizione mantenga una "sprezzatura" da sguardo senza calcolo, ed è appunto quel che avviene, con risultati che spiazzano ogni oggettivismo, mantenendo alle immagini un sapore di sorpresa, un' andatura, appunto, "metafisica".
Si guardi a quadri come "L'attrezzo delle 'buse'", oppure "Gli accessori della Pfaff", ambedue del 2001: nella prima, a deviare la simmetria, c'è una zona scura a destra, nella seconda, sempre a destra, la tela bianca con il punto d'orlatura.
Ovvio poi sottolineare che, in generale, anche il colore segue il criterio della verosimiglianza, ma è naturalmente il pittore che sceglie di accordarlo su toni caldi o freddi, o a volte su contrasti timbrici che esaltano più nettamente la "cosalità", ma anche la "coralità", degli oggetti.
Tanto da giungere a veri e propri "paesaggi" di cose, quando non sia esclusa, dalla composizione, la terza dimensione, che entra nell'opera se lo sguardo, abbassandosi, modifica la pura iconicità della vista dall'alto, oppure quando la visione lenticolare lascia un qualche spazio dietro di sé.
A questi "paesaggi di cose" appartengono opere come "La scatola degli spaghi", perfettissima variazione su toni chiari, o, più decisamente, "I fili della sartoria", del 2004, dove la capacità esecutiva mette in pagina un misterioso mondo di oggetti e riflessi, una sorta di lucida scenografia del mistero, del resto la stessa che, nel 1997, all'origine della vicenda, il pittore esprimeva nel quadro intitolato "Attendono Pietro": sotto il dominio ieratico della macchina da cucire, le spagnolette, come umili accoliti di un rito, attendono il celebrante che non verrà più.
In questa sua ultima sequenza di opere Cesca prosegue un discorso, che era iniziato anni addietro con una serie di nature morte e paesaggi in cui si rendeva chiara la volontà di recuperare la tradizione del "classico": fino a quel momento il pittore aveva invece lavorato dentro la tradizione del "moderno", dalla partenza in ambito surrealista, al proseguimento in un ambito di pittura che dirò "fantastica", sostanziata da un colore libero e acceso, apparentemente lontanissimo dagli esiti, anche cromatici, attuali.
C'è tuttavia un elemento molto importante che rimane invariato nel lavoro di Cesca, e che permette di leggere in sequenza tutto lo sviluppo della sua attività: tale elemento è facilmente individuabile nel deciso sostrato metaforico della sua arte, che non è mai naturalistica, né mai mentalmente astratta, sempre invece in tensione verso un oltre, un al di là delle cose, di cui esse sono in qualche modo parvenza e messaggio. Non si tratta, intendiamoci, di vaghi misticismi romanticheggianti, ma invece della assai solida, - e ineluttabile – constatazione dei limiti della nostre conoscenze e delle nostre certezze.
Per questo non sorprende affatto che Cesca, già nei primi anni '70, abbia realizzato una serie di studi proprio sui meccanismi della macchina da cucire Pfaff che suo padre adoperava nel laboratorio di sartoria: si trattava infatti di meccanismi che potevano venir assunti in opere dal sa pore surrealista, come in effetti avvenne, e avvenne proprio perché la sensibilità del pittore verso la sospensione metafisica e lo stupore esistenziale era già presente in quegli anni: la stessa sensibilità che lo conduce oggi a far vivere gli "oggetti della sartoria" in una così tesa aura d'interrogazione.

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