La precisione,
dunque: che si avvale di una tecnica esecutiva raffinatissima,
spaventata da niente: si verifichi come Cesca, nell'opera del 1999
intitolata "Ganci", risolva in perfetta nitidezza la "messa in scena"
di questo brulichio di piccole forme individuate una per una, ma tenute
robustamente insieme da un grigio dominante vivo tuttavia di
innumerevoli bagliori; e ancora si constati, ne "I bottoni dai riflessi
chiari" (2001), con quanta acuminata sapienza venga resa la sostanza
"tattile" dei piccoli oggetti, tanto che ci si immagina di poterli far
scorrere tra le dita.
Questo dei bottoni, del resto, è un
soggetto che affascina particolarmente il pittore, se così
frequentemente attraverso di esso egli giunge a risultati di grande
nitidezza, giocando su cromie leggere, a volte quasi trasparenti,
preziosissime, messe in rapporto con dei grigi e dei neri a loro volta
perfettamente determinati nella loro qualità cromatica, dando vita,
alla fine, ad una sensazione di svelamento, di scoperta, tanto più
intensa quanto appunto più legata ad un oggetto in se stesso
comunissimo, e ancor più di altri strettamente legato ad una
definizione d'uso.
Ed è anche determinante, nella realizzazione di queste immagini, la "casualità".
Non si vuol dire, con ciò, che l'artista scelga o debba scegliere le
sue "inquadrature" a caso: anzi, esse potranno pure risultare
studiatissime, ma è fondamentale, affinché mantengano la loro natura di
"reliquie" e di "reperti", che ciò non si veda, che la composizione
mantenga una "sprezzatura" da sguardo senza calcolo, ed è appunto quel
che avviene, con risultati che spiazzano ogni oggettivismo, mantenendo
alle immagini un sapore di sorpresa, un' andatura, appunto,
"metafisica".
Si guardi a quadri come "L'attrezzo delle 'buse'", oppure "Gli
accessori della Pfaff", ambedue del 2001: nella prima, a deviare la
simmetria, c'è una zona scura a destra, nella seconda, sempre a destra,
la tela bianca con il punto d'orlatura.
Ovvio poi sottolineare che, in generale, anche il colore segue il
criterio della verosimiglianza, ma è naturalmente il pittore che
sceglie di accordarlo su toni caldi o freddi, o a volte su contrasti
timbrici che esaltano più nettamente la "cosalità", ma anche la
"coralità", degli oggetti.
Tanto da giungere a veri e propri "paesaggi" di cose, quando non sia
esclusa, dalla composizione, la terza dimensione, che entra nell'opera
se lo sguardo, abbassandosi, modifica la pura iconicità della vista
dall'alto, oppure quando la visione lenticolare lascia un qualche
spazio dietro di sé.
A questi "paesaggi di cose" appartengono opere come "La scatola degli
spaghi", perfettissima variazione su toni chiari, o, più decisamente,
"I fili della sartoria", del 2004, dove la capacità esecutiva mette in
pagina un misterioso mondo di oggetti e riflessi, una sorta di lucida
scenografia del mistero, del resto la stessa che, nel 1997, all'origine
della vicenda, il pittore esprimeva nel quadro intitolato "Attendono
Pietro": sotto il dominio ieratico della macchina da cucire, le
spagnolette, come umili accoliti di un rito, attendono il celebrante
che non verrà più.
In questa sua ultima sequenza di opere Cesca prosegue un discorso, che
era iniziato anni addietro con una serie di nature morte e paesaggi in
cui si rendeva chiara la volontà di recuperare la tradizione del
"classico": fino a quel momento il pittore aveva invece lavorato dentro
la tradizione del "moderno", dalla partenza in ambito surrealista, al
proseguimento in un ambito di pittura che dirò "fantastica",
sostanziata da un colore libero e acceso, apparentemente lontanissimo
dagli esiti, anche cromatici, attuali.
C'è tuttavia un elemento molto importante che rimane invariato nel
lavoro di Cesca, e che permette di leggere in sequenza tutto lo
sviluppo della sua attività: tale elemento è facilmente individuabile
nel deciso sostrato metaforico della sua arte, che non è mai
naturalistica, né mai mentalmente astratta, sempre invece in tensione
verso un oltre, un al di là delle cose, di cui esse sono in qualche
modo parvenza e messaggio. Non si tratta, intendiamoci, di vaghi
misticismi romanticheggianti, ma invece della assai solida, - e
ineluttabile – constatazione dei limiti della nostre conoscenze e delle
nostre certezze.
Per questo non sorprende affatto che Cesca, già nei primi anni '70,
abbia realizzato una serie di studi proprio sui meccanismi della
macchina da cucire Pfaff che suo padre adoperava nel laboratorio di
sartoria: si trattava infatti di meccanismi che potevano venir assunti
in opere dal sa pore surrealista, come in effetti avvenne, e avvenne
proprio perché la sensibilità del pittore verso la sospensione
metafisica e lo stupore esistenziale era già presente in quegli anni:
la stessa sensibilità che lo conduce oggi a far vivere gli "oggetti
della sartoria" in una così tesa aura d'interrogazione.
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