“TAROCCHI E DINTORNI”
Cordovado - Palazzo Cecchini – 31 Agosto/22 Settembre 2002 di Giovanni Cesca
di Giancarlo Pauletto
I
tarocchi, si sa, sono di origine antichissima, se ne trovano tracce
egiziane, cinesi, persiane; poi le carte appaiono in Spagna, in
Francia, in Italia e in tutta Europa negli ultimi secoli del medioevo e
nel rinascimento.
Essi servono a svariati giochi, ma la loro origine ha funzione
magico-divinatoria, servivano cioè ad alimentare l’eterna illusione
umana di prevedere il futuro, che significa, in definitiva, l’illusione
di controllare il proprio destino, quindi di allontanare la paura della
morte.
Molte sono le teorie e le interpretazioni che sui tarocchi si sono
costruite specie a riguardo dei cosiddetti “Arcani maggiori”, cioè le
figure, tra cui la più celebre è certamente quella del “matto”, ma noi
non le inseguiamo di certo, bastandoci questa breve introduzione ad
impostare il commento che vogliamo fare sui tarocchi di Giovanni Cesca,
pittore sandonatese che è sempre stato affascinato dagli aspetti
fantasiosi, incogniti, anche giocosi ma tuttavia misteriosi della
realtà.
La sua attività di pittore ha infatti inizio sotto il segno del
surrealismo, e procede attraverso l’invenzione di immagini che, tenendo
conto dei suggerimenti dell’informale e della libertà combinatoria del
postmoderno, ha dato vita fino a tutto il corso degli anni ’80 a opere
ricche di vitalità cromatica e di libertà compositiva, lontane dal
naturalismo e dalla descrizione, ma certo non lontane da sentimenti ed
emozioni che, vissuti all’interno della soggettività, traducono
tuttavia esperienze di vita reale, pensieri e moti d’animo certo non
privi anche di una robusta componente riflessiva e morale.
E’ proprio questo atteggiamento fondamentale del pittore, a metterlo
nelle migliori condizioni per accettare la sfida di inventare una nuova
serie di tarocchi i quali, infatti, sono figure simboliche, possiamo
dire di fantasia, che tuttavia esprimono passioni vere dell’uomo,
l’odio e l’amore, il desiderio di gloria, la paura, la sete di
conoscenza e così via, secondo le variegate ed intrecciate tradizioni
interpretative.
Dell’abituale e coeva maniera pittorica, Cesca mantiene soprattutto la
brillantezza timbrica del colore, il gusto per gli accostamenti decisi,
antinaturalistici, insomma la qualità narrativa della cromia come delle
figurazioni. Abolisce invece, quasi del tutto, i suggerimenti
prospettici, e giustamente, poiché la figura del tarocco – il mago, la
papessa, il carro, la giustizia, l’eremita, ecc…- è una figura
araldica, una specie di segnale, non è una storia con tutti i suoi
movimenti, ma serve a raccontare una storia assieme alle altre carte,
sicché è l’insieme del mazzo che produrrà il movimento, il passaggio,
la svolta, non la singola carta che deve invece vivere in una sua
fissità tipica e assai precisata.
Ecco quindi la sostanziale bidimensionalità delle illustrazioni,
brillanti, definite, talvolta vagamente liberty, intersecate da
significativi inserimenti di attualità, come il televisore e
l’aeroplano dell’ “Imperatore”, o i minareti del “Papa”, o i blue jeans
dell’ “Eremita”.
La mostra si completa poi con una serie di opere degli stessi anni
ottanta, opere pittoricamente affini non solo per modi cromatici, ma
anche perché spesso ritornano figure che sono presenti anche nei
tarocchi, solo più libere e mosse, non vivendo in esse la giusta
necessità di definizione presente in quelli.
Ecco allora i due grandi “libri”, davanti ai quali ci aspetteremmo la
figura del “Mago”, la grande “Porta” che dà su un infinito che è quello
dell’immaginazione, e gli amorini, e le nuvole e le costellazioni e
infine tutto un mondo di fantasie che esprime perfettamente
l’atteggiamento nonostante tutto sempre meravigliato e positivo che
questo artista ha nei confronti della realtà che lo circonda.
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