Giovanni CESCA

Giovanni Cesca

In questo gioco tra ragione ed emozione, il passato (che in realtà qui non è tale in quanto flusso del tempo, ma in quanto stato della coscienza) torna quindi in primo piano come risposta di eternità ed unità di fronte alla frantumata identità dell'uomo contemporaneo.

 

Nel disegno "Il guerriero – Heno---toi", la lamina sbalzata, rinvenuta nel santuario di Meggiaro, presso Este, accende il processo di ricerca-zoom che si focalizza sull'oggetto, recidendone come bisturi il segno e il colore: l'immagine riscontrata esternamente riaffiora dalla notte della memoria e dell'inconscio che progressivamente si schiarisce fino a rendere nitida la forma ritrovata. Il guerriero si stacca dal fondo e galleggia in un vuoto silenzioso, sospeso in una dimensione atemporale, proponendosi come sfinge che interroga l'osservatore. Privato del suo contesto, l'oggetto ha smarrito il passaporto dei secoli e appare nella sua pura evidenza e suggestione di immagine, di colori e forme, come lampo della coscienza,fuggevole come l'apparizione di un sogno cui dare significato. Ciò che sembra interessare all'artista è quindi la capacità di cogliere e scegliere non un insieme indistinto, ma il singolo particolare e il valore unico di ciascuna immagine che può rivelarsi straordinaria fonte evocativa, senza lasciarsi travolgere dal flusso multimediale e caotico di informazioni, immagini, suoni, rumori e parole che costituiscono il trambusto della quotidianità contemporanea, appiattendola e generando indifferenza. Da "fanciullino" Cesca allora "impiccolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare", da asceta rinuncia alla frenesia e sceglie di fermarsi e di fermare il tempo. E in tale prospettiva, il reperto visualizzato esiste e si fa presente in quanto è pensato, permettendo il ritorno ciclico di forme e contenuti. Spazio e tempo sono del resto convenzioni di cui ha bisogno l'uomo, per ricondurre l'infinito e l'indistinto a scale misurabili, dando un senso a ciò che lo circonda, ma esse non appartengono e non interessano all'oggetto in sé, a maggior ragione se quest'ultimo è sacro e fin dalla sua nascita partecipa quindi di eternità. In un santuario dedicato probabilmente ad una divinità non ancora identificata, Heno---toi, collegata a riti di iniziazione maschile, la lamina di Meggiaro fissa, come fotogramma di un film, un movimento del guerriero veneto in marcia, invitando il moderno osservatore a seguirlo nel suo mondo. La visione di Cesca assume allora il valore sacro di icona, che dal desktop delle apparenze permette di accedere al programma-dimensione dell'inconscio in cui uomo, natura, storia e territorio partecipano di un unico suggestivo paesaggio.


Nell'antico, che quindi non è più tale, l'uomo può ritrovare se stesso e guardarsi allo specchio, come ricorda il pastello "Volto venetico". Con taglio fotografico il primo piano di un volto sorridente, dalle sembianze distese e serene, trasforma la ricerca artistica in un'indagine di
identità, non fisionomica, ma fatta di carne e di passioni. Così il verde del bronzo sfuma come sottile maschera di trucco, delicatamente affiora il rosa tenero dell'incarnato e si accendono con dolcezza le labbra, come se l'oggetto, erede del mito di Pigmalione, stesse per animarsi e parlare: nel colore morbido della bocca affiora il guizzo primordiale del battito di un cuore che ha ripreso a pulsare oltre il silenzio dei secoli, infiammando gradualmente di rosso e di vita lo stesso sfondo. In questo percorso tracciato da Cesca è definita allora una volontà di capirsi e di ritrovarsi nella quale è implicito il bisogno di comunicare e di riuscire a far parlare tra loro dimensioni dell'essere diverse.

Lo zoom dell'inconscio che ritrova una sua traccia di identità e che rischiara come un lampo la coscienza, è ciò che costruisce anche il suggestivo disegno "Corri bel cavallo", nel quale l'artista accarezza con gli occhi e rielabora un particolare decorativo della Situla Benvenuti (VI sec. a.C.) dal Museo Nazionale Atestino. Lo sguardo che conosce è luce per Cesca, così in questo prezioso scorcio che illumina e condensa il valore di un particolare, rappresentato dal cavallo. L'uso del pastello non ha qui la volontà di annotare un'impressione attraverso uno schizzo, ma diventa pensiero, sapiente e paziente lavoro che, rievocando la tecnica usata per il materiale stesso dell'oggetto, sbalza l'immagine in ogni sua sfumatura; e nella migliore tradizione veneta è il colore, che è luce, a costruire le forme. Gli occhi e la memoria incidono allora l'immagine, e dalla penombra scorrono verso il centro luminoso, su una superficie patinata che scrosta l'ossidazione del bronzo, rinata allo splendore originario, come se fosse sempre rimasta tale. Contro la fugacità di questo bagliore di eterno istante si staglia la quiete dell'opera di cesello dell'artista-artigiano, che non ha fretta e che di quella visione non vuol perdere nulla, fissando sulla carta l'esatta miniatura di un ricordo.

Il tema del cavallo ritorna frequentemente in altre opere e studi di Cesca dedicati al ciclo sui Veneti antichi, cogliendo un altro aspetto suggestivo che caratterizza questa civiltà. I puledri dell'area veneta erano infatti particolarmente rinomati nell'antichità, come ricordato più volte dalle fonti: Dioniso, tiranno di Siracusa li faceva giungere in Sicilia per gareggiare e a Roma, nel Circo Massimo, la factio veneta dei destrieri era identificata dall'azzurro: per evocazione forse tinta del cielo in cui spirava il vento che scompigliava le veloci criniere, ma soprattutto colore delle acque materne che ancora avvolgono il territorio.

Il soggetto si ripresenta nel carboncino "Il cavallino di bronzo", frammento-studio inserito poi nel dipinto "Dalla lontana risacca l'eco di un nitrito venetico", in cui il purosangue si associa in maniera significativa all'acqua, altro vortice evocativo della sacralità del paesaggio veneto antico e moderno. Nell'opera, che rappresenta un bronzetto votivo del VI sec. a.C. proveniente dal santuario di San Pietro Montagnon (Padova), l'autore coglie come un soffio di vento tutta l'energia dell'animale della schiera dei "bei destrieri", definendo, pur nella stasi, una sensazione di movimento: scatto riecheggiato dalla stessa forma allungata e sfuggente del cavallino, nonché dai segni diagonali che frastagliano parte della superficie del bronzo e che potenzialmente qui rievocano l'effetto del vento sul manto del destriero in corsa. Anche il trattamento del chiaroscuro, dal segno a tratti deciso o dolcemente sfumato, rispettando la nitidezza delle forme ed interagendo con il movimento mosso dello sfondo, offre uno spunto di inquietudine: è come se il corsiero stesse scalpitando per fuggire da quella fissità e liberarsi dal foglio, sprigionando attorno a sé un'energia che è desiderio di libertà e velocità. Il nobile cavallo quindi, che nella simbologia è spesso associato all'idea positiva di forza e di vittoria, ma anche di intelligenza e di saggezza che lo lega alla sfera della parola rendendolo inoltre animale parlante, idealmente seduce sia la sfera emotiva che quella razionale, costituendo un motivo caro alla dimensione contemplativa e speculativa di Giovanni Cesca. Oltre il significato emblematico, il cavallo sembra assumere per questo artista, innamorato del proprio territorio, un valore affettivo di ponte oltre la storia, in un gioco di specchi e di richiami. Se infatti da un lato la visione del destriero ci riporta alla tradizione dell'allevamento di questo animale presso i Veneti antichi, essa si collega al tempo stesso ad un immaginario che ancora persiste nei toponimi dei lidi del Basso Piave (ad esempio Cavallino e Jesolo, da Equus, cavallo), nelle fotografie d'epoca antecedenti alla bonifica dove i cavalli si muovono liberi in un territorio anfibio ancora selvaggio, fino alle fiere equine ottocentesche nelle quali trottavano i puledri di razza Piave. Il cavallo è quindi sacro in quanto depositario di una memoria remota che è ancora attuale per le terre del Piave, attraverso tradizioni, parole e immagini; così il destriero era sacro all'epoca dei Veneti antichi, quando tra fonti e foreste veniva sacrificato a Diomede, quando sue mandibole diventavano partecipi dei riti di fondazione dei santuari o quando, come aristocratico segno tinto d'altre sfumature, veniva sepolto per l'ultimo viaggio. 

Cesca Torna alla pagina precedente

Cesca Vai alla pagina successiva

Homepage

 

 

Vai alla Galleria di immagini sui Veneti antichi

Vai alla Galleria di immagini sulla Meridiana Venetica

 

 

Cesca

 

 

 

 

 

Cesca

 

 

 

Cesca

 

 

 

 

 

Cesca

 

 

 

 

Cesca