Il recupero di un'identità ancestrale non si ferma nell'indagine di Cesca al primo impatto di segni e forme: la visione non si arresta alla retina, ma procede il suo viaggio nel flusso dell'immaginazione per tradursi in altre immagini, che vivono la metamorfosi del sogno. Inevitabile è in tale prospettiva l'evocazione intensa del paesaggio che incornicia il reperto e in cui l'artista assapora nuove magiche atmosfere.
Così da brume oniriche affiora l'apparizione del pastello "Presenze all'albero di Reitia", sussurrando uno scenario fumoso e indefinito nel quale la camaleontica dimensione del sacro diventa metamorfosi di uomo e natura, colta in tutto il fascino delle terre anfibie del Piave. Grande spazio ha qui il cielo, stralciato quasi dalle atmosfere gassose di Giove o di altro inesplorato pianeta: dietro la sagoma dell'albero pulsa una galassia che irradia calde e afose luci rosse, salmonate tra squarci di blu, così come alcune albe e struggenti tramonti che azzannano ancora oggi l'orizzonte di questi lidi; la terra sfuma nello spazio che è già cielo, esalando respiri di nebbie sudate da un suolo scuro, umido d'acque, impercettibile indistinto di terreno concreto, di fragili dossi o di canneti e paludi, che avvolgono un panorama silente, d'istinto primordiale. Acque e albero ricorrono in maniera suggestiva in questa immagine, interagendo come emblematici spunti di vita in riferimento alla dea, qui presente non attraverso una sua raffigurazione concreta, ma per simboli ad essa afferenti. Unico legame tra cielo e terra, ponte tra il sacro e l'umano, appare infatti al centro la sagoma di un grande albero, asse evocativo del mondo e della scena, che spezza il silenzio apparente con il tintinnio delle lamine che si intravvedono appese ai suoi rami inferiori: e tra queste, una di forma rettangolare e una circolare rievocano i due oggetti già interiorizzati ed interpretati dall'artista, quali "Il guerriero – Heno ---toi" e "il disco di
Reitia".
In tal modo il reperto prima ingrandito e scandagliato dall'inconscio del pittore, ora assume piccole dimensioni: ingigantita è qui invece l'atmosfera ammaliante del paesaggio, sprigionato dallo stesso oggetto come macrocosmo che costituisce un ulteriore preziosissimo tassello di identità ritrovata, in un gioco di specchi senza tempo tra ciò che l'occhio dell'inconscio ritrova dentro di sé e ciò che lo sguardo sinottico di ragione ed emozione riconosce al di fuori.
Pur dominando la scena, l'albero sacro non è tuttavia l'unico protagonista. Dalla foschia dello sfondo incede infatti il lento passo di due brevi presenze, evanescenti apparizioni che rompono l'atemporale visione silenziosa: fedeli o curiosi che (come l'artista che forse si identifica in uno di essi) avanzano verso quell'albero, attratti da una domanda e dal mistero, oppure devoti che se ne allontanano, respinti o delusi da una risposta? E noi che osserviamo quell'immagine, che scelta stiamo per fare? Ci stiamo incamminando per svelare il senso di quelle sagome in controluce ed incontrare il sentiero dei due erranti o ci stiamo solo volgendo indietro per ripensare a cosa si è lasciato alle spalle e per vedere cosa faranno gli altri? In entrambi i casi, come polo magnetico che attrae o che respinge, il senso del sacro o del mistero sta al centro della scena e sembra porsi come quesito inevitabile nel tempo, nel cammino di un'esistenza. Così Giovanni Cesca ci ricorda che il pensiero e l'emozione, la natura, l'uomo e le stesse opere da quest'ultimo realizzate costituiscono un unico indistinto paesaggio, eterna fonte di meraviglia, di identità nonché pellegrinaggio continuo di conoscenza del mondo e di se stessi. E questa intuizione, che è intrisa del fascino di un sogno, ha l'istantaneità di un battito di palpebre e di un respiro, che può svanire in un soffio, così come la fragile polvere del pastello depositata sul foglio che ha creato per sempre la straordinaria forza di quella suggestione.
La dea madre non solo presiedeva il ciclo della vita, ma lo stesso mondo naturale era per estensione sua emanazione: ciò la rende una potente maga, proponendola inoltre quale entità di confine e soglia tra la dimensione della natura selvaggia e il mondo urbano civilizzato, che trova spesso un'indicativa espressione nella scrittura. L'insegnamento di quest'ultima è infatti documentato nei santuari della dea Reitia attraverso il rinvenimento di stili scrittori e laminette alfabetiche, come attesta la significativa raccolta del Museo Nazionale Atestino.
Da tale immaginario è rapito Giovanni Cesca che recupera la semplicità e l'eleganza dello stilo, proiettandolo in un gioco di metafore e di assonanze tra la forma dell'oggetto e le forme del paesaggio del Basso Piave.
Nel pastello "Lo stilo di Reitia e seta trama silenzi d'alberi" uno strumento scrittorio di enormi proporzioni domina il centro della scena, avvolta dalle foschie di queste terre in un'atmosfera metafisica: saldamente piantato in un suolo in cui acqua e terra si confondono tra
madide nebbie, lo stilo svetta sicuro verso un cielo rosato, accompagnato sullo sfondo dal dolce declivio di silenti montagne, azzurro viola: è chiara la volontà dell'artista di identificare affettivamente un paesaggio noto che racconta la poesia della sua terra.
Due elementi qui orizzontali costruiscono la suggestiona del territorio di bonifica: sono gli orizzonti sconfinati del cielo (che è già autonomo paesaggio di geometrie, nuvole e colori) e della terra, incisa dalle acque che nell'incanto dei loro specchi di luce gareggiano con le metamorfosi del firmamento. Ma la compattezza gassosa delle due fasce orizzontali, che rievoca il fascino di
distese infinite, di ampio respiro, è interrotta nel pastello dalle essenziali sequenze di pioppi, verticali che caratterizzano il paesaggio di bonifica e che qui spezzano l'apparente monotonia dell'orizzonte, proponendosi come presenze animate che, tendendo verso l'alto, sembrano
avanzare progressivamente dallo sfondo verso lo strumento scrittorio centrale: non più alberi quindi, ma segni evanescenti che si confondono e si identificano con l'oggetto magico in primopiano.
La magica sinergia ed identità tra uomo, memoria, oggetto e paesaggio è ancora più esplicita, fin dal titolo, nel pastello "Oltre … altri pioppi scrittori". Quattro titanici stili governano il campo visivo, ergendosi dalla terra, soffusa di foschia, verso lo spazio terso di un cielo imperturbabile. Le grandi dimensioni dell'oggetto certo non occhieggiano in tale contesto alla Pop Art, ma sono l'espressione più autentica e profonda del simbolo che è in sé gigantesco per la straordinaria forza evocativa che sprigiona e che può condurre l'uomo "Oltre" ciò che appare in superficie. Le proporzioni quindi aumentano per innescare il gioco della meraviglia e favorire la contemplazione. Emblematica è per quest'opera la scelta degli stili scrittori, sia perché rinvia al gioco di specchi delle forme del paesaggio, nell'inevitabile confronto con i pioppi allineati all'orizzonte (alter-ego degli oggetti principali), sia per il risalto che viene dato ai segni della
scrittura, che come motivo evocativo e decorativo ricoprono le presenze al centro della scena.
Gli stili si presentano all'osservatore come filiformi figure, di essenzialità spirituale come anime che ci scrutano con occhi trasparenti che filtrano i colori del cielo retrostante, spiccando come punti di luce nella parte che acquista maggiore dimensione, ossia la testa, che corrisponde in realtà alla base dello stilo, mentre la punta è piantata al suolo o forse solo lo sfiora. Il rilievo dato al pensiero e alla dimensione speculativa ritornano nuovamente nella riflessione di Cesca, senza tuttavia dimenticare l'incanto del mistero. Il silenzio avvolge la scena, ma l'esile presenza cerebrale in realtà non è muta: parla attraverso il linguaggio dei segni e della potenziale parola che attraverso la scrittura porta espressa e incisa sul proprio corpo, come formula di un incantesimo che crea la magia del paesaggio metafisico circostante. Così del resto scriveva Gorgia (V-IV sec. a.C.) nell'Encomio di Elena: "gran dominatore è la parola che con piccolissimo corpo ed invisibilissimo, divinissime cose sa compiere".
Torna alla pagina precedente Vai alla pagina successiva |