IL REALISMO MAGICO DI GIOVANNI CESCA, PITTORE DELLA FORMA E DELLA LUCE, ESTETA DELLA NATURA E DELLA STORIA
di Roberto Costella
2003
Le stagioni della sperimentazione artistica
La svolta
Le riscoperta della forma e della luce
I paesaggi fluviali
I paesaggi rurali, i paesaggi alberati e i paesaggi aerei
Le nature morte
I PAESAGGI FLUVIALI
Il percorso di Giovanni Cesca dopo
tanta ricerca giunge alla fine là dove era partito: in senso
topografico e antropologico, esistenziale e culturale, estetico e
pittorico, l'artista ritorna alla terra veneta cogliendone l'essenza
vitale e la continuità di identità storica e naturale.
Soggetti
preferenziali diventano i paesaggi fluviali, i corsi d'acqua e i loro
dintorni, il mondo vegetale che sull'acqua si affaccia, l'ecosistema
sottratto alle dinamiche corruttrici della società industriale,
l'ambito in cui il succedersi delle stagioni solari sembra comporsi al
tempo e al divenire dell'uomo.
Giovanni Cesca avvicina il fiume e i suoi argini percorrendone le
golene, entra in simbiosi con questa natura amena instaurando un
rapporto di contemplazione attiva.
Il rapporto di identificazione determina una pittura tersa,
compositivamente nitidissima, capace di esprimere in raffinato lirismo
un'estetica senza tempo dove la luce domina sovrana esaltando l'acqua,
le sue trasparenze e riflessi, accordandola al cielo e alla terra.
I paesaggi fluviali riescono ad evocare ed associare la totalità degli
elementi originari; la luce, l'aria, la terra e l'acqua vivono in
armonica associazione esaltando biofilicamente il valore del divenire
naturale e le dinamiche del suo sedimentarsi; il mondo dei fiumi è
allora "presente in atto" e al contempo "testimonianza di passato" che
vivono insieme identificando una sorta di genius loci. C'è uno spirito
che presidia e protegge questi spazi e che si manifesta nella
panteistica combinazione di energia solare, di humus generatore, di
aria purificatrice e di acqua vitale.
Gli spazi fluviali diventano microcosmi, delimitati da argini o da
quinte arboree e restano comunque ampi e distesi esaltando la
profondità di un'atmosfera luminosa, la trasparenza di un'acqua che
abbina attraverso il riflesso la terra al cielo.
La presenza umana apparentemente manca, e tuttavia c'è: sparisce perché
l'uomo aspira a contemplare ma senza voler contaminare, si impegna ad
osservare ma evitando di comparire.
Del resto il circostanziato inserimento della figura infrangerebbe
l'atmosfera sospesa e senza tempo storico di questi spazi: il tempo è
infatti quello naturale, quello solare che la stagione contemporanea
dominata dalla tecnica tende a ignorare e negare.
E' il fiume ad essere protagonista: rappresenta la via, il percorso
fisico e dunque metaforicamente il processo della vita, il viaggio
dell'esistenza.
L'acqua è insieme vivificatrice e lustrale, è presenza organica che si
rende trasparente o riflette, che senza sosta e quasi
impercettibilmente fluisce.
Giovanni Cesca è affascinato dall'inarrestabile movimento delle cose,
dal misterioso incedere del tempo che tutto trasforma: è natura che
registra evoluzioni e processi dichiarando una continua metamorfosi che
l'uomo post-moderno stenta a recepire.
Lo spazio antropizzato contemporaneo risulta sempre più alienato e
meccanizzato, artificiale e inospitale; i paesaggi lungofiume, sono
perciò capaci di riconciliare passato, presente e futuro, di comporre
sogno e realtà, di armonizzare uomo e natura.
Si tratta preferenzialmente di immagini con una vegetazione rigogliosa
primaverile o estiva, che celebrano lo spettacolo della natura
naturans.
Fin dal 1992 nascono le prime scene di fiume: La luce nell'acqua
dedicato al Sile e Riflessi riferito al Piave, rappresentano la
conquista di un realismo figurato sostanziato dalla magia di una luce
sospesa e diffusa; è proprio la luce che diventa il motivo fondamentale
vivificatore del quadro mostrandosi pura nel cielo, trasparente
nell'acqua, materica nel mondo vegetale.
La produzione degli anni Novanta è molto omogenea espressivamente,
stilisticamente e tecnicamente: le scene sono eseguite con metodica
accuratezza e raffinato calligrafismo.
Sono immagini che non tradiscono mai il dato della percezione ottica
restando con controllato realismo sulla dimensione della conoscenza
empirica; tuttavia i quadri hanno il valore aggiunto della valenza
emozionale che riesce ad esprimersi e comporsi in forma visiva: è la
vibrazione del colore, la magia della luce che danno palpitante energia
e vita ai soggetti del fiume.
Giovanni Cesca sembra empaticamente legarsi al suo mondo dipinto:
citando Maurice Merleau-Ponty si potrebbe affermare che "La visione del
pittore non è più sguardo su un di fuori, relazione meramente
fisico-ottica col mondo. Il mondo non è più davanti a lui per
rappresentazione: è piuttosto il pittore che nasce nelle cose come per
concentrazione e venuta a sé del visibile …" (L'occhio e lo spirito,
1964).
I paesaggi fluviali pur
strettamente relazionati tendono ad individuare diversificate tipologie
iconografiche. Il corso d'acqua rappresentato con una prospettiva
inclinata, ripreso da un punto di vista rialzato senza primo piano e
chiuso da una fascia limitata di cielo che colora l'acqua specchiante,
ritorna in opere come: La luce nell'acqua del 1992, Verdi sul Livenza
del 1994, Quinte del 1996, Contrasti del 1997, L'acqua sgorga dal bosco
del 1997, Il canale Piavon a Cittanova del 1998, Sinfonia di verdi nel
Piave del 1999, Il posto magico sul Brian del 1999, Ocra e verdi sul
Brian del 1999, Gialli lungo il Brian I e III del 1999, Grande Piave
Theodori del 2000, Spazio infinito sul Livenza del 2000, Verso la
Laguna di Caorle del 2000.
Il fiume attraversa diagonalmente il campo visivo, dolcemente
accompagnato da una vegetazione rigogliosa che lo delimita senza
chiuderlo e lo incornicia senza bloccarlo: l'acqua diventa traccia
lineare leggermente sinuosa che si allontana e verso il cielo sparisce;
si tramuta in percorso fluido che attraversa golene verdeggianti per
dissolversi nell'atmosfera.
L'acqua mostra nella specchiante riflessione la sua doppia natura
fluida e luminosa, diventando presenza viva e sensibile a tutto ciò che
la circonda fino a fissarne la forma, il colore, la vita.
Questo schema compositivo, presente nel primo paesaggio
post-avanguardista, ritorna con insistita continuità anche nelle scene
degli ultimi anni Novanta.
Il corso d'acqua rappresentato con una prospettiva centrale
orizzontalmente spalancata, ripreso da un punto di vista abbassato e
con un cielo vastissimo domina opere come: Riflessi del 1992, Ombre e
luci del 1994, Piave I del 1994, Quinte di verde del 1994, Ultime luci
del 1995, Il posto dei cigni del 1995, Luci e ombre sul Brenta II del
1998, Verdi atmosfere del 1999.
Tra quinte arboree lontane acqua e luce dominano scene che galleggiano
quasi senza peso, configurando immagini sottratte alla forza di gravità
e all'opacità del mondo materiale; sono spazi dove tutto diventa colore
incorporeo e spiritualizzato armonicamente accordato, fino a
trasmettere un senso di luce assoluta sostanziante l'universo.
Le variazioni su queste due tendenze iconiche sono preferenzialmente di
tipo formale, con tagli prospettici intermedi dedicati ad anse e rive
di fiume perse nella vegetazione, e talvolta di tipo espressivo, con
atmosfere brumose atte che intensificano il senso dell'arcano naturale
oppure con cromie calde che esaltano il senso positivo della vita
organica.
Appartengono alle prime Piave II del 1994, Piave III del 1996, Luci e
ombre sul Brenta I del 1997, Concerto per alberi, fiume e luci del
1999; alle seconde Nebbia del 1995, Nebbie lungo il Brian del 1996,
Nebbie sul Brian del 1997, Alba nebbiosa sul Piave del 1998 e la serie
dei Gialli lungo il Brian del 1999. I
paesaggi fluviali sono il tema preferenziale della pittura di Giovanni
Cesca negli anni Novanta, quello più complesso e articolato, che
contenutisticamente indaga il mistero della vita biologica e il suo
miracoloso svelarsi nella luce solare.
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